Se il 2021 è stato l’anno del vaccino, il 2022 sarà quello delle cure. «Sicuramente » afferma con decisione l’infettivologo Giovanni Di Perri, tra i primi in Italia a studiare il Covid e ricevere la protezione contro il contagio all’Amedeo di Savoia. Martedì arriveranno le pillole Molnupiravir della Merck. «Ma dovremo vedere come evolverà la variante Omicron, perché se i contagi diminuissero potremmo passare dalla pandemia che abbiamo vissuto in questi due anni a una endemia. Sarà la fase della “convivenza” con il virus».
Professore, in questi due anni abbiamo imparato a combattere il Covid. La battaglia, ora, volge verso la vittoria?
«Sarà l’anno delle cure, che cominciano a dimostrare la loro efficacia. C’è il Molnupiravir, un farmaco che ha circa un 30% di efficacia ma credo che gli studi a riguardo debbano essere ripetuti. Altro discorso, invece, vale per il Paxlovid della Pfizer, che sembra molto efficace nel prevenire l’ospedalizzazione. Un’ultima sperimentazione, poi, si chiama PineTree che è un farmaco endovenoso da fare in ospedale e ha un’efficacia importante, proprio come i monoclonali prima che il virus mutasse. Credo che sarà disponibile presto, ma al momento non è ancora stato inserito nei protocolli».
Le famose pillole contro il Covid che arriveranno martedì? Sostituiranno gli anticorpi monoclonali che, fino a pochi mesi fa, non erano granché utilizzati?
«In questo momento i monoclonali con Omicron non funzionano. Funziona, invece, il Sotrovimab ma è stato commercializzato da poco e non è molto distribuito».
Dovremo abituarci anche al vaccino? «
Credo proprio di sì, ma il vaccino andrà presto aggiornato. Spero entro giugno».
Omicron e la grande circolazione del virus, con sintomi molto simili a un raffreddore e all’influenza, rischiano di mandare nel panico le persone. Che cosa consiglia di fare? «Fare subito il tampone. Poi, nel caso sia positivo, si usano degli antinfiammatori come l’ibuprofene. Gli steroidi, invece, sono riservati a una fase successiva se insorge l’insufficienza respiratoria».
Cosa ha insegnato il Covid a livello di ricerca?
«Molto. Abbiamo imparato a curare molto più in fretta, soprattutto i malati gravi e gravissimi, non solo nella fase iniziale. La stessa ventilazione polmonare sta avendo una conversione graduale a misure meno invasive dell’intubazione, perché il polmone è più delicato. Abbiamo anche imparato a proteggerci».
Quella del Covid non sarà l’ultima pandemia che dovremo affrontare?
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«Il rischio c’è e va tenuto in considerazione per molti fattori, dalla maggiore facilità di comunicazione. Dobbiamo aspettarcelo, come prima del Covid era capitato un po’ con Ebola, che aveva avuto una rapida diffusione in almeno tre stati dell’Africa, come Congo, Liberia e Sierra Leone»
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