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«Ora quarta dose o un nuovo vaccino, contagi e ricoveri sono ancora troppi»

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Basta guardare fuori dalla finestra di un ospedale, poi, voltarsi e osservare quanti siano ancora i letti occupati, per capire che l’emergenza non finirà domani per decreto. Che, anzi, il contagio continua a insistere e pare non abbia smesso di affaticare corsie e reparti con oltre 600 pazienti in Piemonte. Oltre al ministro Roberto Speranza, che proprio ieri si appellava alla comunità europea per «scelte condivise e unitarie» sulle fasce d’età a cui indirizzare un ulteriore richiamo vaccinale, anche infettivologi ed esperti sono convinti che servirà una quarta dose per scongiurare il peggio il prossimo autunno. «Potrebbe servire, almeno per alcune fasce d’età, anche perché non abbiamo grandi notizie riguardo alla ricerca su un nuovo vaccino destinato a contrastare, in particolare, la variante Omicron» spiega il professor Giovanni Di Perri dell’Università degli Studi di Torino, non proprio convinto che per uscire dall’emergenza sia sufficiente un decreto. «La pandemia non è finita, diciamo che è cominciata una fase nuova di convivenza con il Covid ma non come nelle aspettative di qualche mese fa» confessa Di Perri. Troppo alte, infatti, restano le ospedalizzazioni, ma anche l’andamento dei nuovi contagi in rapporto ai tamponi condotti non è di molto differente a quello dell’inizio dello scorso inverno. «Purtroppo sapevamo che il vaccino avrebbe perso efficacia nei confronti dell’infezione ma non della malattia. Questo deve servirci da monito per organizzare al meglio una eventuale risposta il prossimo inverno».

Nelle ultime tre settimane in Piemonte gli aumenti sono stati importanti anche senza un “picco” di ospedalizzazioni. «Ho osservato il fenomeno della variante Omicron da quando è iniziato, all’incirca a metà dicembre, fino alla fine di marzo. La differenza è di 9 milioni di contagiati in più e questo significa che è stata la variante che ha immunizzato spontaneamente più persone ma, al contempo, abbiamo avuto una mortalità fino a dieci volte inferiore. Questo significa molto in termini di riduzione dei decessi». Perché nell’arco di una manciata scarsa di mesi si passa anche da poco più del 2% ad uno 0,2% nel complesso. Diverso, invece, il discorso che riguarda gli ospedali e i pazienti ricoverati. Non tutti, specialmente chi non è vaccinato, riesce a scampare il letto in reparto. Anche in terapia intensiva. «Non è la riduzione che ci aspettavano, non quella che ha liberato gli ospedali del tutto perché questi hanno ancora criticità e devono sempre fare delle rinunce su qualcosa. Abbiamo migliorato molto la pressione ospedaliera ma dobbiamo pensare che la situazione attuale, per come stanno le cose, continua a ingolfare i nostri ospedali».

Insomma, serviranno nuovi posti letto per ridefinire gli “standard” di quelli attuali. «Di sicuro dobbiamo arrivare preparati alla prossima stagione in cui c’è la possibilità che, senza un’innovazione molecolare del vaccino, serva una ulteriore dose per proteggere alcune fasce d’età come quelle più avanzate, dopo avere messo al sicuro malati, fragili e immunodepressi».

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