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«Scartato dalla Juve ma che rivincite...Torino è la mia vita»

Sorrentino
È partito dalla Juventus, è passato dal Toro ed è arrivato al Chieri: «Per me è la Juve dei dilettanti» è convinto Stefano Sorrentino, 43 anni, ex portiere “diviso” fra le due squadre della città. Ora è pronto a diventare presidente in collina, dove vuole «alzare l’asticella e fondare la squadra femminile». Sarà la prossima sfida di una carriera fatta di tanti miracoli in campo, viaggi per l’Europa, qualche occasione persa. Un rimpianto? «Credo che ognuno abbia la sua strada scritta in partenza. Ma forse un giro a Coverciano me lo sarei meritato».

A proposito di strade segnate, lo era già dall’inizio per lei.

«Sono arrivato a Torino quando avevo 11 anni e papà è diventato preparatore dei portieri della Juve: abitavamo in via San Marino, a due passi dallo stadio Comunale. Poi abbiamo preso una villetta a Vinovo».

Una vita “casa e stadio”.

«Papà allenava, io e mio fratello Ivano giocavamo: passavamo più tempo in campo che fuori. Infatti, dopo l’Antonelli, ho girato tante scuole: era difficile trovarne che accettassero le assenze dovute al pallone».

Adesso dove vive?

«Fra Crocetta e Santa Rita. Quando ho smesso di giocare, io e mia moglie abbiamo scelto di tornare a Torino per stare vicino alle mie figlie».

La sua carriera è iniziata e finita a Torino.

«Sì, sono arrivato fino alla Primavera della Juventus. Poi mi hanno scartato per questioni tecniche: una botta che è diventata in una molla per gli anni a venire. A volte le bocciature aiutano. Gigi Gabetto, allora responsabile del settore giovanile granata, mi ha preso al volo: ricordo la Coppa Italia Primavera vinta dopo non so quanti anni, anche grazie ai tre rigori che ho parato in finale contro il Napoli. Poi ci sono stati i prestiti alla Juve Stabia e al Varese, le prime esperienze fuori casa. Al ritorno sono diventato titolare».

C’era lei in porta nel 2005, anno della promozione e del fallimento del Toro.

«Mi è caduto il mondo addosso: come poteva saltare tutto dopo la fatica che avevamo fatto per tornare in serie A? Avevamo qualche dubbio dopo nove mesi ad allenarci senza stipendi e in campi indecenti. Fino all’ultimo mi dicevano che ero il portiere del futuro, un giovane cresciuto nel Toro, sulle orme di Luca Marchegiani e del Giaguaro Castellini. Poi, la settimana dopo, il mio procuratore mi ha mandato un messaggio mentre ero in vacanza: “La società ha trovato l’accordo con l’Aek Atene. Se vuoi, c’è già un biglietto aereo per andare a vedere la città e le strutture”».

Perché ha scelto di andare in un campionato estero di secondo livello?

«Tanti mi dicevano di aspettare altre possibilità. Ma stavo bene e giocavo la Champions League: abbiamo battuto il Milan in casa, proprio nell’anno in cui avrebbe vinto la coppa ad Atene. Quell’anno sono stato l’unico portiere italiano a giocare titolare la Champions: è la dimostrazione di quanto le nostre società puntino sui calciatori italiani, allora come oggi. È incredibile: forse si è abbassato il livello e non abbiamo i Buffon e i Baggio. Ma nessuno li va a cercare e investe».

In Grecia ha avuto anche un grave incidente.

«Ho dato il giro con la Smart, il 20 agosto 2006: era rimasto ben poco del mio braccio sinistro ma i medici l’hanno rimesso in sesto con 80 punti. Il 12 settembre ero già a San Siro a giocare contro il Milan. In un’uscita mi sono riaperto la ferita: è la dimostrazione di quanto io sia testardo e determinato».

Poi sono arrivate la Spagna e il “miracolo Chievo”.

«Sono stati quattro anni e mezzo bellissimi, che mi hanno portato a sfiorare la Juve quando si è fatto male Buffon. Sono stato vicino anche a Roma, Napoli, Sampdoria, Fiorentina: vedevo passare i treni e il presidente Campedelli non mi lasciava partire. Diceva: “Dove lo trovo un altro portiere a un prezzo così basso e che mi dà 20 punti a stagione?”».

Alla fine è arrivato il Palermo, dove c’è chi la considera come un “padre”.

«I palermitani sono un popolo fuori dal comune. Mi hanno accolto da re e continuano ancora oggi: certi attestati di stima mi fanno venire la pelle d’oca e mi ripagano delle occasioni mancate. Contano più dei soldi e delle coppe. Alla fine va bene così, posso vantare quasi 400 partite in serie A e altre 100 all’estero su 600 da professionista: numeri importanti, sono stato fortunato».

Fra le occasioni perse c’è anche la Nazionale?

«Avrei voluto fare un giretto a Coverciano. Forse me lo sarei meritato, anche se ho sempre giocato in squadre “piccole”. O magari c’erano altri più bravi o con più “occhi della tigre”, come dico sempre io».

Qualcuno dice che c’entri anche il suo carattere.

«Se è un limite avere un carattere forte, dire quello che penso e non scendere a compromessi, sono contento di averlo».

Si è tolto anche lo sfizio di una esperienza da attaccante.

«Ho giocato nel Cervo, dove abbiamo una casa e dove papà allenava. Ero partito bene, con un gol e due assist in 3 partite. Poi è arrivato il Covid, che ha frenato anche l’ul tima esperienza da dirigente calciatore alla Torinese».

Com’è il suo rapporto con papà, anche lui portiere arrivato in serie A?

«Io ero più forte e l’ho sempre preso in giro per questo. Scherzi a parte, non è stato facile ma il rapporto è sempre stato ottimo. Infatti mi aiuterà col Chieri insieme a mio fratello, che è arrivato alla Primavera della Juve e poi in serie C. Ora allena il Carrara ’90 in Promozione».

Com’è nata l’idea di investire nello sport e di subentrare nel Chieri calcio in serie D?

«Era un po’ che cercavo un’avventura del genere ma non trovavo nulla di adatto alla mia idea. Quando stavo per rinunciare, è arrivata la chiamata di Luca Gandini, che avevo conosciuto quando mi ero allenato per tre mesi con loro. Ci siamo piaciuti sempre di più e io ho preso in carico la società e il bellissimo centro sportivo Roberto Rosato. Gandini rimarrà come proprietario delle strutture e la sua Atla resterà sponsor sulle maglie».

Oltre a papà e fratello, chi l’affiancherà in questa impresa?

«Saremo io e tanti amici, tra cui il direttore sportivo Antonio Montanaro. Ma parlerò con chi c’è già perché non voglio stravolgere nulla: so che il mio arrivo ha destabilizzato l’ambiente e lo capisco, visto che sono venute meno delle certezze. Ora finiamo la stagione, poi guarderemo avanti: sono convinto di poter alzare l’asticella, partendo dall’ottima base lasciata da Gandini. Vogliamo puntare sulla qualità e sulla quantità dei giovani. Ma anche riportare entusiasmo a tutti i livelli: Chieri è una bella città ma poco sponsorizzata, dove spicca la squadra di volley in A1. Lì c’è il palazzetto pieno mentre lo stadio ha tanti posti vuoti: voglio lavorarci. Poi vorrei creare un squadra femminile».
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