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16 Giugno 2025 - 15:15
C’è chi per una partita contro il Bayern Monaco darebbe via un rene. E chi, invece, rinuncia senza rimpianti per rispettare un appuntamento dal barbiere o un turno al mercato. È successo davvero, negli Stati Uniti, dove si sta disputando il Mondiale per club, torneo che forse appassiona solo sponsor e contabili FIFA, ma che ha regalato un caso surreale e irresistibilmente tragicomico.
I protagonisti sono i calciatori dell’Auckland City, squadra neozelandese composta da dilettanti, catapultata non si sa bene come in una competizione mondiale accanto a giganti come il Bayern. Alla vigilia della sfida contro i campioni di Germania, circa metà dei titolari ha dato forfait. Motivo? Nulla che riguardi infortuni o tensioni da spogliatoio: dovevano lavorare.
C’è il barbiere che aveva già in agenda shampoo e tagli, l’agente immobiliare che doveva mostrare un appartamento, lo studente con un esame e l’ambulante impegnato al mercato settimanale. Tutti, rigorosamente, assenti giustificati. O no?
Il risultato? Una prevedibile debacle: 10-0 per i tedeschi. Ma il campo, si sa, non è l’unico tribunale. Sui social il Bar Sport si è spaccato: da un lato chi difende i “professionisti” del dovere quotidiano, eroi dell’etica del lavoro anche quando la chiamata arriva da un palcoscenico planetario; dall’altro chi li accusa di aver sprecato un’occasione irripetibile, lasciando i compagni a raccogliere le briciole (e le pere, tante pere).
In mezzo, la verità di un calcio che, fuori dai riflettori europei, è ancora fatto di ragazzi che timbrano il cartellino prima di scendere in campo, se hanno il tempo. Ed è qui che la favola dell’Auckland si trasforma in paradosso: i pochi presenti hanno vissuto un’umiliazione storica, sì, ma anche un’emozione unica, di quelle che si raccontano ai nipoti. Gli altri, invece, avranno clienti soddisfatti, bancarelle ordinate e acconciature perfette.
Lezione imparata? Forse che non tutti i sogni passano dallo sport. O forse che, in fondo, dieci gol non fanno così male. Soprattutto se si è vissuto ogni minuto di quella disfatta con il cuore gonfio d’orgoglio. E con la consapevolezza che le pere, almeno quelle bavaresi, fanno bene alla memoria.
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