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Le dichiarazioni
03 Settembre 2025 - 08:30
Ig Uefa
Il numero uno del calcio europeo, Aleksander Čeferin, ha espresso la sua frustrazione per le sofferenze causate dalla guerra a Gaza, ma ha ribadito che le squadre e i giocatori non devono essere puniti per le decisioni dei governi. «Quello che sta accadendo con i civili mi ferisce profondamente», ha dichiarato a Politico. «Ma un atleta cosa può fare per fermare la guerra? Nulla. Guardate la Russia: sono tre anni e mezzo che i club sono esclusi, ma il conflitto in Ucraina non si è fermato».
Durante la Supercoppa di agosto, la UEFA ha esposto lo slogan “Stop Killing Children, Stop Killing Civilians”, scatenando reazioni opposte. I sostenitori di Israele lo hanno giudicato filo-Hamas, mentre i gruppi pro-palestinesi lo hanno considerato troppo generico. Čeferin difende la scelta: «Abbiamo una fondazione per i bambini. Non viviamo su un altro pianeta. Chi dice che questo è un messaggio politico è un idiota». Poi ha ricordato l’abbraccio di Mohammed, un ragazzo di Gaza che ha perso entrambi i genitori e che ha consegnato con lui le medaglie: «Non aveva bisogno di un’altra bomba sulla testa, ma di amore».
Il presidente UEFA ha criticato i leader internazionali incapaci di fermare le stragi: «Non capisco come possano dormire vedendo i corpi dei bambini. Pensare che il calcio debba risolvere questi problemi è folle». E ha aggiunto: «Forse sarebbe stato più semplice non fare nulla. Ma nessuno, in UEFA, ha detto di no a quello striscione. Molti ci hanno scritto per ringraziarci: siamo stati l’unica organizzazione ad aver fatto qualcosa».
Čeferin ha escluso l’ipotesi di espellere le squadre israeliane dalle competizioni europee. Diversa la situazione per i club russi, ancora fuori per decisione della UEFA dopo l’invasione dell’Ucraina. «Volevamo reinserire almeno le selezioni Under 17», ha spiegato, «ma il progetto è stato travolto da isteria politica. Eppure i bambini non votano e non sono responsabili dei governi».
Sul fronte organizzativo, Čeferin ha difeso la scelta di assegnare la finale di Champions League a Budapest nonostante le posizioni filorusse di Orbán: «L’Ungheria è un nostro membro e va rispettata come ogni altro Paese». Ha poi ridimensionato i contrasti con la FIFA di Infantino, definendoli «sovrastimati»: «Nel 90% delle cose siamo d’accordo. Bisogna scegliere le battaglie». Infine, sul proprio futuro, non chiude la porta a un nuovo mandato da presidente UEFA nel 2027: «Non è deciso. Ma, come dice mio padre, ogni ‘no’ è solo un invito al futuro».
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