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Nino Formicola

«La morte di Zuzzurro mi ha distrutto: ripartire è stato devastante»

"Gaspare" in scena fino al 21 maggio al gioiello con "Il sequestro"

Nino Formicola e Roberto Ciufoli

Un momento dello spettacolo

«Quest’anno compio 70 anni, festeggio 50 anni di carriera e sono dieci anni che è morto il mio amico Brambilla». Il 2023 ha un significato particolare per Nino Formicola, in arte Gaspare. E quei dieci anni dalla scomparsa di Andrea Brambilla, con cui aveva dato vita al famoso duo comico Gaspare e Zuzzurro, pesano in modo particolare.

«Sono stati dieci anni faticosissimi - dice il cabarettista e attore milanese -. dover ripartire da solo, senza Andrea, è stato devastante, catastrofico. Noi eravamo abituati a lavorare insieme, a pensare insieme, a condividere il palco, a divertirci insieme». Così in questi due lustri Gaspare non si è più divertito, ma ha dovuto comunque reinventarsi, ha partecipato a “L’isola dei famosi”, ha condotto con Ezio Greggio e altri “La sai l’ultima” e dopo “La cena dei cretini” eccolo di nuovo sul palco. Lo condividerà questa sera con Roberto Ciufoli (e con Sarah Biacchi, Daniele Marmi e Alessandra Frabetti), protagonista al Teatro Gioiello de “Il sequestro” di Fran Nortes nella traduzione di Piero Pasqua e per la regia di Rosario Lisma (in replica fino a domenica 21 maggio).

«Il titolo è drammatico, ma lo spettacolo è comico» assicura Formicola. È una commedia spagnola, inedita in Italia, che ha debuttato lo scorso anno al Festival di Borgio Verezzi e che garantisce al pubblico un’ora e mezza tutta da ridere. Una commedia da vedere tutta d’un fiato, in un atto unico, perché, rimarca, «adesso i tempi sono sempre più veloci».


Che ruolo interpreta nella commedia?
«Io sono l’autore di un sequestro. Lo organizzo per salvare il mercato rionale dagli speculatori che vorrebbero costruire un centro commerciale, mettendo sul lastrico molte famiglie. Così rapisco il giovane Angelo, figlio dell’autorità che si accinge a firmare il decreto».


Ma le cose si complicheranno.
«Sì, ci saranno molti imprevisti. Ma la commedia ha un’etica, una morale: i cattivi non vincono mai, anche se sembrerebbe il contrario».


Mezzo secolo di carriera è un bel traguardo...
«Mi sembra di avere cominciato ieri. Avevo iniziato nel ‘73 come autore con una mia compagnia amatoriale; nel ‘75, poi, ho conosciuto Andrea. Era venuto a vedere lo spettacolo che avevamo portato al Refettorio di Milano, aveva chiesto chi era l’autore, di lì il nostro sodalizio».


Si è subito trovato bene con lui?
«Eravamo due persone diversissime. Non avevamo nulla in comune, se non il whisky e i libri gialli, ma tra noi c’era un’assonanza terrificante: la velocità d’esecuzione, i tempi comici».


E insieme siete cresciuti e diventati famosi.
«Sì, ma non si diventa mai famosi da soli. C’è sempre qualcuno dietro. Noi dobbiamo ringraziare Funari, Teo Teocoli, Bruno Voglino, un grandissimo talent scout e altri».


Torino in qualche modo l’ha tenuta a battesimo?
«A Torino, all’Alfieri, ho fatto il mio primo spettacolo in un grande teatro, ho fatto la mia prima trasmissione televisiva, il mio primo cabaret, al Centralino».

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