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Eredità sotto esame
08 Dicembre 2025 - 11:00
Torino, Corte d’appello
I giudici hanno assolto la badante e il marito, ribaltando la condanna di primo grado sulla vicenda ereditaria del chimico torinese Lido Frediani. Secondo la nuova sentenza, l’uomo avrebbe disposto a favore della donna per motivi personali legati ai rapporti con i parenti, e non perché raggirato.
La decisione ricostruisce il percorso che aveva portato, nel 2019, alla redazione del testamento con cui Frediani — figura di rilievo nel settore chimico — lasciò un patrimonio di circa tre milioni di euro alla badante conosciuta da pochi giorni. Il Tribunale aveva ritenuto che la coppia avesse approfittato di una presunta fragilità psichica dell’anziano. La Corte d’appello, invece, esclude che vi siano state condotte di circonvenzione d’incapace.
L’inchiesta era partita nel 2021, dopo che il nipote aveva scoperto la morte dello zio, avvenuta nel maggio 2020 all’età di 92 anni, e l’avvenuta cremazione senza informare la famiglia. Successivamente aveva appreso della disposizione testamentaria in favore della badante, presentando denuncia. Da qui erano seguiti il sequestro dei beni e la condanna della coppia in primo grado.
Nel giudizio d’appello, una rilettura degli atti e delle testimonianze ha messo in evidenza che Frediani, pur colpito da un decadimento fisico e cognitivo lieve dopo la rottura del femore e alcuni ricoveri, era considerato ancora capace di intendere e di volere. I giudici hanno inoltre ricostruito i rapporti tesi con i parenti: l’anziano aveva chiesto ospitalità alla cugina e al nipote, che avevano prospettato il ricorso a una badante o a una struttura. Tale posizione, secondo la Corte, avrebbe spinto Frediani a modificare le proprie volontà successorie.
Risulta inoltre che il chimico avesse manifestato in più occasioni l’intenzione di non incontrare più i familiari, arrivando a installare un videocitofono per limitarne l’accesso all’abitazione. Gli atti mostrano che l’intento di nominare erede la badante fu espresso già cinque giorni dopo l’assunzione, elemento che, per la Corte, esclude la possibilità di un raggiro avvenuto in un tempo così breve.
Alla luce di questi elementi, la coppia è stata assolta «perché il fatto non sussiste». Restano confermate solo alcune condanne minori emerse nel corso delle indagini: 10 mesi per la donna e 4 mesi per il marito. I giudici hanno inoltre disposto la restituzione dei circa 700 mila euro versati come provvisionali e spese legali.
La Corte aveva inizialmente stabilito un nuovo sequestro conservativo su tali somme, misura annullata dal Riesame. Secondo i giudici, mancava sia una richiesta delle parti civili sia il presupposto del fumus boni iuris, in quanto non sussisteva più una pretesa risarcitoria dopo la sentenza di assoluzione.
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