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Tra storia e romanzo
20 Luglio 2023 - 07:00
«Crudeltà ce ne fu da una parte e dall’altra. Se gli indiani massacrarono dei bianchi, i bianchi massacrarono degli indiani. (...) quel colonnello Crawford aveva meritato la sua morte impietosa». E’ un libro duro e per questo affascinante, questo di Frederick Drimmer, scomparso nel 2000, veterano di marina nella seconda guerra mondiale, scrittore sospeso fra splatter e macabro, autore tra le altre cose di “Elephant man”, uno dei primi libri dedicati al caso di Joseph Merrick. “Scalpi e tomahawk” (Oaks Editrice, 20 euro, traduzione di Sem Schlumper) è una raccolta di racconti veri, drammatici, avvincenti in qualche modo: si tratta delle testimonianze di quelle persone, coloni o soldati o cacciatori, che finirono prigionieri dei nativi americani, o scelsero di passare parte della loro vita con loro.
Si tratta di storie che al tempo furono pubblicate in articoli, “dime novels” ossia quei romanzetti d’avventura che costituirono la narrazione della mitologia americana della Frontiera, testi che per molto tempo erano disponibili solo per gli studiosi di storia, negli archivi delle associazioni statunitensi. Drimmer li aveva trovati, consultati, raccolti, fornendo una antologia sospesa fra l’antropologia e il racconto epico.
“Due di questi indiani mi restarono accanto, mentre l’altro scotennava il mio compagno” racconta per esempio James Smith, esploratore sul finire del Settecento, in “Prigioniero dei Caughnawaga”, per narrare poi la sua esperienza nella tribù. Ma esistono anche testimonianze meno truculente, integrazioni forzate che però avvenivano secondo un concetto di “famiglia”: il prigioniero veniva inserito in un nucleo famigliare per sostituire il guerriero che era morto e ne condivideva la vita e le responsabilità. C’era chi recuperava la sua libertà, a distanza di anni, magari perché riscattato, o perché liberato dai soldati, come capitò a molte donne oppure a giovani rapiti ancora bambini - il grande sakem Quanah Parker, per esempio, era figlio di una giovane rapita a undici anni dai Comanche -, mentre molti preferivano rimanere nella tribù di adozione, anzi di assimilazione.
Film come “La sposa indiana” o “Un uomo chiamato cavallo” ci hanno mostrato i modi diversi in cui bianchi e nativi si trovavano a combattere o convivere. E in epoche diverse: perché l’epopea della Frontiera, del Far West è stata quella narrata forse nel modo più sanguinoso: fu l’epoca delle guerre indiane, di Custer e del massacro di Little Big Horn; poi venne quella dell’annientamento del bisonte e delle riserve. Ma ci fu una fase precedente, in cui gli esploratori o gli avventurieri entravano in territorio vergine e spesso l’incontro-scontro con i nativi poteva essere meno cruento. Le narrazioni, i romanzetti portati poi all’Est, magari nella grande New York che già sembrava una metropoli europea, crearono miti e superstizioni. Questo libro, arricchito da disegni, dipinti e fotografie dell’epoca, riporta esperienze di prima mano e di testimoni oculari: documento storico, ma anche avvincente narrazione.
SCALPI E TOMAHAWK
Frederick Drimmer
Oaks Editrice
20 euro
traduzione di Sem Schlumper
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