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L'ultimo "ghost rider" della Frontiera al tramonto, "ecco il mio noir western omaggio a Leone"

Omar Sabry, di Novara, con il suo secondo romanzo intitolato "Armonica"

L'ultimo "ghost rider" della Frontiera al tramonto, "ecco il mio noir western omaggio a Leone"

Omar Sabry è nato a Novara nel 1990, di formazione scientifica è consulente nel settore biomedicale, ma la sua vera passione è la narrativa sci-fi, di cui scrive anche nel suo blog “Il buio oltre la scienza”. Per il suo secondo romanzo, però, è andato molto indietro, affrontando il mito della Frontiera e, omaggiandolo, anche l’ombra di un gigante come Sergio Leone. Il romanzo, un “noir western”, si intitola “Armonica” (Scatole parlanti, 15 euro).

«La sostanza è sempre quella - dice Omar -: un deserto sconfinato di eroi che non vogliono essere tali, che amano e rinnegano di farlo, che salvano gli altri perché qualcuno possa salvare loro. Le mezze misure vengono lasciate agli altri generi narrativi, il sarcasmo è l'unica arma per beffeggiarsi della morte e il viaggio solitario a cavallo è il viaggio che ogni uomo deve compiere per trovare se stesso».

E l’uomo a cavallo è Robert Crown, pistolero arrivato alla fine della sua carriera, un eroe caduto, che dice «Non ci rimane in mano niente, se non questa vita breve che brucia come la miccia di un candelotto di dinamite». Il suo passato glorioso e sanguinoso si mescola a un presente che finge di essere quello che era un tempo, nello spettacolo di un West selvaggio, dove la frontiera è ridotta a un palcoscenico.

Ma c’è un momento in cui torna il tempo delle pistole, per recuperare la sua armonica, simbolo di un vecchio amore, e per vendetta e amore per una donna, come nelle migliori tradizioni. L’eroe sconfitto, allora, deve rimontare in sella, per l’ultima cavalcata verso il tramonto o l’inferno, un “Ghost rider” che va incontro al suo destino.

“Armonica”, che è omaggio fin dal titolo a Sergio Leone, è un western all’italiana, che si tuffa profondamente nelle contraddizioni della società, esplorando la fragilità dell’uomo di fronte alla morte e all’irrilevanza. Raccontata con il ritmo di una tragedia shakespeariana e il gusto aspro di un hard-boiled, la storia di Crown è un monito sulla spettacolarizzazione della contemporaneità, ma anche il racconto epico di un mito fatto «più di bugie che di verità».

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