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IL COLLEZIONISTA FOLLE
13 Settembre 2024 - 16:16
Le famose statuette con espressioni che ispirarono Picasso
PROLOGO ALLA RUBRICA
Una nuova avventura del nostro Collezionista Folle dove il vero sconfina nell’inverosimile e viceversa e la “storia” dell’arte trascolora nella letteratura. Questa volta ci racconta il ritrovamento fortunoso della statua che ispirò Picasso, facendosi passare il nostro eroe per un umile brocante... allacciate le cinture di sicurezza !
Sorriso bieco
di sbieco
C’è chi fa il muso lungo dopo essere stato offeso, chi invece rimane inebetito a bocca aperta dopo aver ricevuto un colpo alla nuca. C’è chi ha la bocca storta come “Le signorine d’Avignone”, il celebre dipinto di Pablo Picasso il quale prese spunto da una statuetta sottratta a Gery Pieret, lo studente che la rubò da una bacheca mal chiusa al Museo del Louvre dove era esposta la collezione di statue tribali della Polinesia Francese.
In realtà ci prese gusto e ne rubò una dozzina vendendole in parti uguali a Guillaume Apollinaire ed a Picasso. Poi, dopo una bevuta d’assenzio, fece il giro delle città importanti della Francia, inseguito dalla gendarmeria offesa dagli sberleffi. Da ogni stazione spediva cartoline al Commissario del suo quartiere parigino. Quando lo presero, chiese aiuto a suo padre, un influente importante avvocato, il quale ricompose la ragazzata purché le statuette fossero restituite.
Apollinaire e Picasso furono convocati dal Commissario e finsero di non conoscersi. La comica non finì lì. Picasso promise di restituirle tutte dodici, ma si presentò solo con dieci statue. Dove fossero finite le altre due, Picasso lo spiegò doviziosamente con una geniale pantomima. Era senza mezze parole ma si fece capire. Avrebbe voluto gettare via tutte e 12 le statue in legno dal ponte sulla Senna. Prese coraggio e ne gettò via due ma vide che galleggiavano portate via dalla corrente, quindi decise di restituire al Commissario le rimanenti 10 statue.
La ragazzata di Gery si ricompose e le 10 statue furono rimesse al loro posto, ora in bacheche chiuse con lucchetto.
Trascorsero meno di cent’anni e morì un certo Pipia, un antiquario collezionista amico di Picasso. Tutti i mercanti che lo conobbero, conoscendo la sua abilità nel selezionare le opere più curiose degli artisti più importanti del primo novecento, si recarono quasi in processione dalla vedova per accaparrarsi gli oggetti prima dell’asta.
Un ultimo brocante arrivò tardi e la vedova fu dispiaciuta di non avere più nulla. Infine, impietosita dal muso lungo e triste dell’ultimo arrivato, lo fece accomodare per vedere se ci fosse qualcosa che fosse stata nascosta.
In un grande armadio profumato di lavanda, vi erano delle matasse di lino di Lione che avvolgevano le due statuette salvate come Mosè dalla corrente del fiume e riportate in seguito in un magazzino antiquario dove io ebbi modo di ritrovarle. Vale la pena di notare la particolare espressione di una delle due statue che raffigura due personaggi che ballano: l’una ride in piena salute, l’altra ha il viso contratto da una smorfia dovuta alla trigemia, la grave infiammazione del nervo trigemio facciale che colpisce gli isolani che bevono solo acqua piovana priva di sali minerali. Guarda caso, la stessa espressione bieca di sbieco delle Signorine d’Avignone nel dipinto di Picasso.
La seconda statua riguarda invece la figura di un Dio che rigurgita un coccodrillo, simbolo di rinascita, quasi fosse stata scelta a caso per essere ritrovata.
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