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IL COLLEZIONISTA FOLLE
28 Settembre 2024 - 22:45
L'opera presa in esame questa settimana dal Collezionista Folle
PROLOGO DELLA RUBRICA
The Twilight Zone, in inglese letteralmente è “La zona del crepuscolo”, termine col quale, in aviazione, si indicava il momento in cui, in fase di atterraggio di un aereo, la linea dell’orizzonte scompariva sotto il velivolo, lasciando in quei momenti il pilota senza riferimenti. È la stessa sensazione che ci provoca con questo racconto il Collezionista Folle, tra dotte citazioni della sciolina di Leonardo da Vinci, la visita al bordello di Arles di Gauguin e Van Gogh in un pomeriggio del 1888 e le moderne applicazioni all’arte delle recenti tecnologie scientifiche del DNA. Il Nostro, con la sua ricerca e le sue ipotesi, procura al lettore un “incredibile” brivido tra l’erotico e lo stupefacente. Giova ricordare che Twilight Zone fu il titolo di una fortunata serie TV degli anni cinquanta che in Italia si intitolava “Ai confini della realtà” , quei confini lungo i quali ama scorrazzare più o meno consapevolmente il Collezionista Folle.
TELA SENTI QUADRO?
La tela deve essere tirata, morbida ma non cedevole. Leonardo Da Vinci abituato a dipingere su tavola preparava una segreta sciolina affinché il pennello scorresse sulle velature riprese dopo essersi asciugate.
Un lavoro lento che nel ‘500 richiedeva polso fermo, acutezza visiva, pazienza e precisione.
Gli impressionisti nell’800 non erano della stessa idea anche perché dipingevano all’aperto, a contatto coi cambiamenti climatici. Dovevano necessariamente fare in fretta prima che una nuvola oscurasse il sole e cogliere l’attimo fuggente della emozione. Paul Gauguin quand’era in Bretagna fissò su una tela la spiaggia rosa corallina di Brest in contrasto con un cielo azzurro terso.
Il tempo mutò e il dipinto rimase incompiuto per diversi anni finché nel 1888 ad Arles, in un caldo meriggio con gli amici Vincent van Gogh e Charles Laval, assieme decisero di ammazzare il tempo al bordello della città. Dal fondo della sporta, Gauguin estrasse questa piccola tela, il pennello l’aveva in tasca van Gogh e Laval aveva i tubetti di colori primari: mancava forse il solvente ma avrebbero posto rimedio. Era una idea che si ripromettevano da tempo. Van Gogh per ben due volte nelle sue lettere aveva preannunciato la sua intenzione di fare “uno scherzo di bordello”, una fantasia goliardica che gli frullava nell’orecchio. Dopo circa cent’anni, in un mercatino di Torino saltò fuori da una serie di disegni custoditi in una cartella: fra essi una piccola tela con la rappresentazione di un albero dipinto in modo che l’orizzonte del mare fosse verticalizzato dividendo così il mare e la spiaggia come fossero due scenari in cui, sulla sinistra l’albero è sulla parte sinistra, mentre sulla destra rosa corallina, vi sono due tracce oblique di materia biologica, su una delle quali appare leggibile una dedica, la località Arles e la data 1888.
Incuriosito dalla scoperta, accompagnato da una testimone, mi recai a Cocconato d’Asti nel nuovo laboratorio della dr.sa biologa Ada Cavicchini che aveva vinto il secondo premio Galileo Ferraris di Torino per aver inventato un metodo non invasivo che consente di estrarre il DNA da impronte digitali o da materiale biologico lasciato in materia nei dipinti: ad esempio un capello. Nel caso di questa tela ritrovata, il materiale biologico sembrava essere di origine umana. La testimone osò pensare a della saliva, magari ad uno sputo dopo aver masticato dei tabacco, tuttavia l’esperta fece notare che le due prominenze laterali sembrassero, ad osservarle con una certa attenzione deduttiva, vagamente falliche. L’esame biologico avrebbe dato il suo responso la settimana dopo.
Ritornati sul verde colle del pre monferrato, la biologa ci accolse con imbarazzato sorriso. Ci fece accomodare ed srotolò sul tavolo un lungo foglio stampato dal computer, con un diagramma a sega che solo lei sapeva leggere ed indicare. Si venne per curiosità al punto: “É quindi possibile individuare con certezza il DNA degli artisti?”.
Il colpo di tosse tradì l’emozione della biologa : “Sì, è stato possibile, ma anche con la mia collaboratrice che ha sviluppato la crescita del materiale prelevato e messo in coltura, si è notata una difformità dalle nostre aspettative”… Le mani mi sudavano e non resistevo alla curiosità d’apprendere il risultato dell’esame che mi sarebbe costati €800. “Mi scusi, ma il DNA l’avete individuato, in modo da poterlo comparare con il DNA presente in dipinti autentici esposti nei Musei?”. La biologa tergiversava ruotando nervosamente in lapis tra le dita. “Vede qui, il vertice di questa misurazione? Esso è indicativo del sesso, se fosse stato sperma maschile la misurazione avrebbe dato un risultato diverso”.
Sul mio viso apparve la disperazione: “E allora?”. “Vede… proseguì la biologa aggiustandosi i “revers” del camice bianco, … abbiamo ipotizzato che il materiale biologico sia stato disteso sulla tela con il pennello… vede … qui nella misurazione automatica del PC, è chiaro che il DNA non può essere maschile ma…”. Altro colpo di tosse, poi prese coraggio e sputò il rospo: “Si tratta di DNA femminile!”. Credo di avere strabuzzato gli occhi. “Ma non è questa la vera sorpresa… si tratta di cinque DNA femminili diversi!”.
Seguì un momento di silenzio, come dopo il fulmine, prima del tuono.
“Ci sono! Esclamai. Abbiamo capito dove intinsero il pennello!”. “La pochade de bordel” si era materializzata ai nostri occhi, già vedevo le cinque ragazze del bordello disposte in cerchio, inginocchiate alla araba, con la paletta dei colori sulle loro sfacciate natiche. Ma questo gli storici dell’arte non potevano saperlo!
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