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Torino Film Festival
23 Novembre 2024 - 15:21
Ron Howard
Dopo la pioggia di applausi di venerdì sera del Teatro Regio gremito la sera dell'inaugurazione, in cui per la prima volta fuori dal nord America ha mostrato il suo ultimo film, “Eden”, dopo aver ricevuto la Stella della Mole dalle mani del presidente del Museo del Cinema Enzo Ghigo, Ron Howard questa mattina ha incontrato la stampa (ma non il pubblico: nessuno era presente al mattino all'unica replica del suo film, con la sala grande del Massimo gremita) e raccontato molto di sé e del suo ultimo lavoro.
«Durante una vacanza alle Galapagos, quindici anni fa, ho scoperto questa storia e sono rimasto affascinato dai personaggi coinvolti: più approfondivo la loro conoscenza e le varie versioni della storia, più avevo voglia di realizzarci un film, un racconto che Werner Herzog o Terrence Malick avrebbero potuto fare».
Come avete lavorato sulla storia?
«Abbiamo elaborato una sceneggiatura, anche tornando nell'isola, parlando con la gente del posto, cercando i luoghi in cui avevano vissuto, le grotte: se a volte in questi anni ho temuto che questa storia non avesse legami con l'attualità, dopo la pandemia non l'ho più pensato. Considerando la situazione del pianeta è sicuramente molto pertinente».
Come avete costruito il cast?
«Abbiamo avuto grandissima fortuna, i loro agenti hanno reagito molto bene, hanno persuaso i loro clienti ad accettare: è una produzione indipendente, da loro è stato un gesto di amore. Ho scelto le persone artisticamente più coraggiose, e in grado di resistere a una produzione fisicamente molto impegnativa, che anche a livello emotivo era una sfida, con personaggi così insoliti ed estremi. Sono fierissimo di questo cast».
Cosa cercava nei vari attori coinvolti?
«Jude Law ha un range espressivo enorme, volevo da tanto tempo lavorare con lui; Daniel Bruhl ha una forza interna incredibile, anche al di là del suo aspetto mite; Vanessa Kirby è molto attenta, vuole studiare ogni cosa, si prepara moltissimo; Ana De Armas è coraggiosa, mi ha molto colpito in “Marilyn”, ed è credibile che degli uomini decidano di seguirla fin su quell'isola; Sydney Sweeney è molto intelligente, ma riservata, sembra la ragazza della porta accanto ma solo conoscendola ne capisci la tenacia».
Cosa l'ha convinta maggiormente ha realizzare un film su queste persone, che negli anni '30 lasciarono tutto per ricostruirsi una vita in una sperduta isola in mezzo all'Oceano?
«C'è qualcosa di classico e tragico sul piano umanistico, ci sono personaggi che si ritrovano a contatto tra loro e devono coesistere con la natura. La forza per sopravvivere e adattarsi alle circostanze per me appartiene soprattutto a chi ha la forza di credere nel futuro. In questo periodo storico è difficile capire a cosa credere: tutti insieme dobbiamo collaborare per costruire un futuro migliore, io sono sempre stato e continuo a essere un umanista».
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