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Il collezionista folle
19 Gennaio 2025 - 07:00
“Braque firma la regina”
PROLOGO
Ah, il nostro Collezionista Folle, quell’irresistibile miscuglio di genio e sregolatezza, torna a stupirci con le sue avventure, sempre rigorosamente a metà strada tra la poesia decadente e il manuale d’arte improvvisata. Immaginatelo: un giorno gelido, un caffè ribelle che smette di fumare, uno zucchero granitico e lui, il nostro eroe, che sogna un manutentore di caldaie come altri sognano un viaggio ai Tropici. Solo lui potrebbe trasformare una chiamata di servizio editoriale in un dramma esistenziale e un quadro impolverato in un affresco epico degno di Braque. Con l’entusiasmo di un cacciatore di tesori e l’ironia tagliente di chi sa che la grandezza è solo una questione di prospettiva – o di luce lunare – il Collezionista ci ricorda che l’arte non si trova solo nei musei, ma anche nei cortili dove i quadri odorano ancora di incenso funebre. Pronti per un’altra avventura strampalata, geniale e, ovviamente, folle? Restate nei paraggi: qui si fa storia – o almeno si prova a farla rimbalzare come una lampada caduta dal tavolo!
FIRMA LA REGINA
Si annunciava il carnevale in una giornata terribilmente rigida. Il sangue nelle vene era freddo come i piedi nelle calze di “cachemire”.
Il caffè aveva smesso di fumare e lo zucchero benché in bustina ne fuoriuscì come un blocco di granito indistinto. Il cellulare tremò senza emettere alcun suono: si illuminò nella fredda stanza. Sperai che a chiamarmi fosse il manutentore della caldaia o un amico di passaggio che mi invitasse a bere con lui qualcosa di caldo al bistrot dell’angolo. La voce che mi rispose andò sulle spicce: «Posso dirti cosa penso del pezzo che mi hai mandato per la domenica prossima, senza che tu ti offenda?». «Ci mancherebbe - risposi - ogni suggerimento è sempre gradito!».
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Era proprio lui, non un altro che mi stesse sulle balle, ma il mio simpatico “coach”, un giornalista che l’Editore del giornale mi aveva posto come primo lettore e moderatore: «Il pezzo che ho letto manca di qualcosa che possa piacere ai lettori del giornale, un avvenimento sorprendente che incuriosisca…».
Sorpreso dalla sua schiettezza, i miei piedi divennero bollenti. «Devi convincerti che tu non sei uno scrittore, non devi montarti la testa. Tu sei un trovatore di opere d’arte, un “collezionista folle”. Resta nei ranghi e riscrivi un pezzo come facevi alcuni mesi fa».
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Seguì un attimo di silenzio in cui anche il caffè riprese a fumare.
«Messaggio ricevuto forte e chiaro. Ora lo riscrivo e te lo invio, senza offese!». Non fu facile aggiustare il pezzo. Sarebbe stato tutto da riscrivere ed avevo finito il vino. Spiegare al lettore la banalità del male sarebbe stato più facile. Come vent’anni fa mi imbattei in un quadro mai visto prima, non presentò spunti così eccitanti da far palpitare il “décolleté” della Signora che mi accompagnò da un rivenditore di oggetti recuperati da sgomberi di alloggi alla presenza degli eredi. Anche i quadri puzzavano degli incensi accesi nelle veglie al morto.
Occorse far presto, scegliere ciò che fosse meno piacevole per accordarsi al miglior prezzo.
Ricordo di aver visto questo quadro appoggiato a terra, già staccato dal muro, come se fosse già stato scartato da qualcuno più esperto di me. Tuttavia qualcosa di misterioso mi attrasse: un ritratto policromo e poliforme fuori da ogni schema pittorico analitico, con un certo aspetto ad un tempo proto o post cubista, con una oscurità antropica e presocratica che avrebbe fatto ribuzzare le orbite oculari a qualsiasi esperto d’arte e giornalista tesserato. Lo presi con un balzo felino quasi fosse la mia preda del giorno: era, al di là di qualsiasi ragionevole dubbio, un’opera del grande George Braque. Ne trattai il prezzo come fosse stato uno zerbino, salvo ulteriore conferma quando osservandolo alla luce della luna, riuscii a intravedere, nelle sue composizioni frammiste come in un “puzzle”, scene della storia di Francia.
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«Ma questo lo vede solo Lei» mi apostrofò un esperto di Parigi al quale mostrai il dipinto ed al quale risposi per le rime: «Tenga conto che sono italiano e che se avessi voluto vedere ciò che piace a me, avrei visto di sicuro la storia di Anita e di Garibaldi ferito ad una gamba, invece del Delfino di Francia sul patibolo ad assistere sua madre condannata alla ghigliottina».
Per sottolineare questa mia affermazione, non so cosa mi prese, battei un pugno sul tavolo e la lampada di gomma a forma di palla fece un sobbalzo e rotolò per terra, rimbalzando come la testa della Regina Maria Antonietta giù dalla ghigliottina. Un evento degno del pezzo.
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