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"La fabbrica degli innocenti"
14 Marzo 2025 - 15:41
Gianluigi Luzzi, classe 1969
“La fabbrica degli innocenti” siamo noi. Lo diventiamo ogni qual volta diamo la nostra interpretazione sui fatti, la diffondiamo sui social i quali, attraverso, un algoritmo che non lascia scampo all’indifferenza, amplifica la “sua” verità fino a renderla virale dai piccoli schermi degli smartphone alle menti delle persone. “La fabbrica degli innocenti” è il titolo scelto da Gianluigi Luzzi, giornalista di Milano diventato noto al grande pubblico soprattutto grazie al successo in tv delle inchieste di “Quarto grado”, per il suo spettacolo teatrale (diretto da Enrico Zaccheo, con musiche originali di Davide Cavuti, il tour è prodotto da Stefano Francioni Produzioni e Ventidieci) che toccherà il palco del Teatro Colosseo martedì 18 marzo.
Un racconto che ripercorre, attraverso video e documenti, errori giudiziari e fake news nati intorno a tre fatti di cronaca nera eclatanti: la strage di Erba, l’omicidio della piccola Yara e il caso Charia Poggi, tornato proprio in questi giorni agli onori della cronaca per via della riapertura del caso nonostante la condanna a 16 anni di Alberto Stasi.
Ecco, il caso di Garlasco potrebbe davvero essere un errore giudiziario di cui parla nello spettacolo?
«Potrebbe, ma non lo sappiamo. Dobbiamo vedere cosa accadrà adesso, dopo le indagini su Andrea Sempio che, non dimentichiamolo, si trova “sotto il microscopio” per la terza volta. Bisogna vedere tante cose.»
Ma il Dna fatto prelevare da Stasi è suo...
«Sì, è vero ma, attenzione, un conto è se si parla di Dna sopra le unghie, un conto se è sotto...»
Lei si è fatto un’idea?
«Io non mi faccio idee, io aspetto i fatti. Spero solo che in tutto questo la mamma di Chiara non debba soffrire ancora.»
Per quanto riguarda Yara?
«Ecco, il caso Bossetti è un esempio eclatante di quante fake siano nate soprattutto dopo la messa in onda della docu serie. In questo caso il Dna parla chiaro, è stato trovato mischiato al Dna della bambina sulle mutandine di Yara: come si può negare un coinvolgimento?»
Ma perché la cronaca nera attira così tanto l’attenzione del pubblico?
«Le persone vogliono capire come possano accadere fatti così a persone normali come loro, in famiglie come tante. Si innesca un processo di immedesimazione molto profondo.»
Perché tanta violenza?
«Perché ci troviamo in un periodo in cui c’è molta aggressività, ovunque, soprattutto fra i giovanissimi. Colpa anche del web dove ci stiamo abituando alla violenza.»
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