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TEATRO STABILE
03 Maggio 2025 - 18:11
Un'immagine dello spettacolo in programma da martedì 6 maggio al Teatro Gobetti
Rispetto all’allestimento precedente, quello che nel 2017 gli valse il Premio Hystrio Nuove Scritture di Scena, lo “Stabat Mater” di Liv Ferracchiati in programma martedì 6 maggio (ore 19,30) al Teatro Gobetti di Torino (in scena fino a domenica 11 maggio) presenta alcune novità: la madre, allora interpretata da Laura Marinoni non appare in una gigantografia video, ma è invece presente fisicamente sul palco, inoltre, la resa scenica è più metaforica e meno realistica. Al di là di questo rimane il tono sferzante e caustico, ma nello stesso tempo fresco e lirico, di una commedia che racconta da un punto di vista inedito le dinamiche dei rapporti familiari e del divenire adulti.
Secondo capitolo di una trilogia incentrata sul tema del transgenderismo e dell’identità di genere (il primo è stato “Peter Pan guarda sotto le gonne”, il terzo “Un eschimese in Amazzonia”), lo “Stabat Mater” scritto e diretto da Liv Ferracchiati, che ne è anche interprete insieme con Francesca Gatto, Chiara Leoncini e Livia Rossi, indaga, spiega la regista, «la soglia del passaggio da un’età giovanile a una più adulta, quando ci si assume la responsabilità di essere quello che si è, quando bisogna comunicarlo agli altri, in particolare alla madre, una figura che incombe sulla scena e sulla vita».
Nello spettacolo prodotto dal Teatro Stabile di Torino - Teatro Nazionale e dal Centro Teatrale Mamimò, Marche Teatro, Teatro Nazionale di Genova, è il personaggio di Andrea a trovarsi in questa situazione. Andrea è un trentenne incapace di prendere in mano la sua vita, sia da un punto di vista professionale sia personale. Così si dibatte tra l’incapacità di sostenere una relazione con la propria compagna e la necessità di recidere il cordone ombelicale e ottenere dalla Madre un “patentino” che lo autorizzi ad esistere. Ad accompagnarlo in questo percorso sarà una psicologa che lo aiuterà ad individuare i cliché e gli stereotipi di cui, suo malgrado, è vittima. Il tutto narrato in uno stile che rappresenta, per citare la motivazione della giuria del Premio Hystrio, un «raro esempio di riuscita commedia italiana dal sapore anglosassone. All’interno di una struttura drammaturgica complessa e gestita con mano ferma, spiccano dialoghi credibili e incalzanti, ricchi di una destrezza ironica che ricorda il primo Woody Allen».
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