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Editoria
29 Maggio 2025 - 08:00
La copertina del libro e Maurizio Scudiero
Difficile ritagliarsi un momento con lui. Non perché non voglia, ma perché il suo spirito instancabile lo spinge a pensare molto e a fare ancora di più. E così, mentre la sua ultima pubblicazione, “I libri del Beat” (Luni Editrice), uscito ad aprile, sta ancora lasciando a bocca aperta studenti e appassionati che hanno la fortuna di averlo nei propri scaffali, Maurizio Scudiero è già alle prese con un altro lavoro: «Sto scrivendo un volume sui libri russi d’avanguardia - ci confida - e domani (oggi, ndr) inizierò una serie di viaggi che mi porteranno un po’ di qua e un po’ di là». In fondo è tutto normale per uno del suo calibro. Nato a Rovereto, classe 1954, una laurea in Architettura con studi di Estetica e Storia dell’Arte Moderna, Scudiero è una delle menti più interessanti del panorama artistico moderno, con all’attivo oltre cento mostre in particolare su Futurismo e Aeropittura e tutta una serie di pubblicazioni sulla letteratura dell’Est Europa.
Per queste ragioni, per la sua preparazione e la sua meticolosità, il viaggio nell’universo Beat attraverso i suoi libri, i suoi poeti, rappresenta un’immersione totale in quel mondo così particolare cui succedette, quasi per logica, l’era degli hippies.
«Per anni ho visto e sfogliato libri su libri sulla Beat Poetry, poi, viaggiando spesso negli States, nel 1981, sono capitato alla libreria City Lights di San Francisco: mi trovai davanti ai libri originali della Beat Poetry… Ebbene, fu quasi uno shock emotivo per la bellezza e la creatività di come questi libri erano impaginati fuori e dentro. Negli anni, mi resi conto che mancava a livello internazionale una raccolta come quella che ho realizzato e che rappresenta la storia della Beat e la spiegazione della sua evoluzione. Anche i critici americani hanno riconosciuto il mio sforzo e parlano già di tradurre il libro in inglese».
Già uno sforzo lungo 325 pagine che Scudiero ha scritto come se ognuna di esse fosse una tesi di laurea, approfondita e allo stesso tempo chiara e leggera. Si inizia così da una lunga antologia della Beat Poetry per immergersi nella personalità dei poeti che qui si mettono a nudo, come è giusto che sia. «Il poeta è nudo - spiega Scudiero - e quelli Beat lo erano davvero, con quel battito reazionario legato ai propri valori». Si parte così, da pagina 86 con «i soliti noti» tra cui Lawrence Ferlinghetti, i suoi libri, le sue immagini. E ancora, Allen Ginsberg, Jack Kerouac, Gregory Corso. E poi, l’evoluzione della Beat Poetry e così «a pagina 264 arriviamo alla poetica e alla personalità di una donna come Diane Wakoski e alla sua poesia sorprendente, surreale ricca di metafore». Da qui si continua con i Beat Records, la musica jazz, nera, di uno come Ted Joans, poeta, trombettista, viaggiatore. L’evoluzione della generation continua fino ad arrivare, a pagina 272, alla parte più “scomoda”, quella delle droghe e degli psichedelici. «Sulla droga bisogna essere chiari - continua Scudiero - a differenza di oggi, che quasi sempre è usata per aumentare lo sballo, alle feste dei beatnik era usata come metodo per acquisire una sensibilità ulteriore e avventurarsi in viaggi interiori. Questo il senso di quel beat che oltre a battito significava, sconfitta, beatitudine».
Da qui il viaggio si fa più intenso e da pagina 286 si parla di Black Power e Martin Luther King per proseguire con l’incitamento alla rivoluzione, fino al caso di Angela Yvonne Davis del 18 agosto 1970, quando divenne la terza donna mai inserita nell’elenco dei dieci fuggitivi più ricercati dall’FBI per i suoi coinvolgimenti in rapimenti e omicidi. Un libro ricco di contenuti e documenti dove la parte descrittiva si intreccia alle immagini, un viaggio che cresce e che non può che concludersi con i colori della grafica psichedelica degli hippies eredi “peace & love” di un battito che, lentamente, si è placato.
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