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Il collezionista folle
21 Settembre 2025 - 08:00
“L’isola che non c’é”
PROLOGO
C’è chi colleziona francobolli, chi calamite da frigo e chi invece, per complicarsi la vita, decide di mettere in salotto opere d’arte che pesano più di una Fiat 500 e valgono come un mutuo trentennale. Il collezionista – quello folle, appunto – vive in una dimensione parallela, dove il portafoglio non è mai abbastanza vuoto da impedirgli l’acquisto “necessario”, e dove dietro ogni armadio polveroso si nasconde un capolavoro. Ma attenzione: le regole del gioco non ammettono eccezioni. Vendere? Mai. Prestare? Forse, ma solo a banche svizzere, musei altolocati o entità metafisiche provviste di polizza “All risks”. In questo teatrino di passioni e paranoie, le tele diventano reliquie, i bronzi quasi parenti acquisiti e i certificati assicurativi un po’ più sacri delle benedizioni papali. Il più bel quadro, però, è sempre quello che appare quando meno te lo aspetti: sbuca da dietro un mobile, ti guarda con aria di sfida e ti sussurra che, senza di lui, la tua follia collezionistica sarebbe solo un passatempo innocuo. E se una Baronessa, con aria convinta, ti assicura che a fartelo trovare è stato addirittura Gustavo Rol, allora non resta che aprire il portafoglio e arrendersi al destino.
Il PIÙ BEL QUADRO
L’ho rivisto ieri osservandolo con occhio clinico, avendo perso l’altro occhio, quello cinico. Mi fido sempre delle persone che conosco, le quali più sono gioviali e complimentose, più nascondono il loro fine. Ma lo si scopre subito toccando il loro punto debole: il denaro. Posseggo decine di dipinti e statue collezionate in 20 anni, e in questo lasso di tempo ho sempre detto ben chiaro che questa mia collezione non è vendibile al pubblico, nemmeno tramite Aste pubbliche, ma che tali opere, circa 70 tra statue e dipinti, non possono essere messe in commercio per ragioni superiori.
Esse possono legittimamente essere affidate a Enti, Musei e Banche, anche in forma di certificato di valore stimato e assicurato contro ogni rischio richiesto da Banche d’Affari extra europee, compresi i rischi di perdita, incendio, danneggiamento, sostituzione, furto, contraffazione, sequestro, eccetera (polizza “All risks”). Il più bel quadro della collezione è, a mio parere, “L’isola che non c’è” (quella celebrata dal poema “Il canto dei morti” di Reverdy), una grande tela ritrovata assieme alla mia cara amica defunta, la dottoressa Gully Avolio von Otter (era la moglie del barone Alfred von Hotter d’Asburgo) d’alta nobiltà europea attenta e sensibile al riconoscimento di autentici capolavori. Appena la baronessa vide la tela sporgere da dietro un armadio che la nascondeva alla vista dei profani, chiese al brocante di poterla osservare. Ci vollero due uomini muscolosi per spostare il pesante mobile di noce per porre la tela alla luce della vetrina. L’opera apparve in tutta la sua bellezza: un grande mazzo di fiori tra il fogliame mediterraneo.
Con la prospettiva aurea inversa a tre quarti dell’altezza, vi è un mare che separa un’isola dai contorni evanescenti che paiono fare immaginare visioni orgiastiche che distraggono la noia eterna dei morti, salvo qualche loro intervento nel mondo dei fenomeni per fare accadere circostanze e sincronicità invocate. Tra i fiori si intravedono, col terzo occhio, i volti fantasmatici degli amici pittori. Dalla tonalità del colore e dal tratto compositivo la Baronessa lo riconobbe lanciando un grido di sorpresa ed afferrandomi il braccio «Aah! Comprala! E’ Rol che te la manda!». Sentii un brivido scorrere lungo la schiena e la mia mano già correva ad afferrare il porta carte di credito, a quel tempo non ancora svuotate dalla bramosia e dalla follia del collezionista d’arte. «Chi sarà l’autore?» Le chiesi in un attimo di ripensamento, prima di consegnare la carta di credito al negoziante. La Baronessa mi sussurrò all’orecchio: «Ma è di Raoul... il pittore celebrato dal Museo di Saint Tropez!». Lì per lì non capii. «Raoul chi?». Ma mi fidai della sua enciclopedica esperienza, in fondo era docente di arte moderna e Preside dell’istituto di Cultura Italo-Svizzero che fu finanziato fino alla morte del barone von Hotter padre, già direttore generale della Ubs (Unione Banche Svizzere). Ebbene, lo comprai, mentre Gully canticchiava il ritornello «Du du du Du … Dufy!». Era il più bel dipinto di Raoul Dufy.
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