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Il collezionista folle
28 Settembre 2025 - 08:00
Un'opera di Hieroymus Bosch
PROLOGO
C’era una volta, anzi no: c’è ancora, un Collezionista che non si limita a rincorrere opere e cimeli, ma pure le allucinazioni che gli regala la sua stessa passione. In un mondo in cui la gente si lamenta di Netflix che “fa spoiler”, lui finisce invece per spoilerarsi da solo la realtà: legge troppo su Gauguin e Mette Gad, si gira e… dietro non c’è nessuno. Oppure sì? Non lo sa più nemmeno lui. E allora via, lettino, occhiali bicolore del dottore e un’analisi regressiva che sembra più un viaggio dentro un mercatino delle pulci allucinato che una seduta clinica.
Tra quadretti trovati per terra, sculture che parlano e tavole optofoniche trasformate in arredobagno, il confine tra arte e follia diventa un sottile filo di spago, pronto a spezzarsi al primo “Bonne chance” sussurrato da un passante profumato come Gustavo Rol. Ma in fondo, che cos’è il collezionismo se non l’arte di farsi inseguire da oggetti che non chiedono altro che essere adottati? E se a chiamarti non è l’antiquario ma una statua di legno che urla “Comprami!”, beh, non resta che assecondarla. Tanto, alla fine, il vero deposito delle cose disperse è sempre la memoria. O forse no: perché a furia di raccogliere ricordi, anche quelli iniziano a collezionare noi.
DOTTORE MI AIUTI
«… Da troppo tempo studio le vite di Paul Gauguin e di sua moglie Mette Gad e a volte per il troppo leggere mi prende un giramento di testa, una specie di stordimento, e mi pare d’essere seguito da qualcuno che non c’è… mi volto indietro per sincerarmi che non sia follia, ed infatti è la mia percezione.»
«Prego, si distenda, ha una sua cartella clinica?» chiese il dottore. «Le farò alcune domande in analisi regressiva».
Mi accomodai sul lettino senza opporre resistenza. Il dottore inforcò un occhialino dalle lenti bicolore e mi chiese se l’occhiale rimuovesse in me dei ricordi lontani.
«Certo…, mi ricordo quando brevettai un occhiale per scendere di handicap giocando a golf! Non furono approvati dal Golf Club di Saint Andrews perché contrari alla regola 14 che proibisce gli “unusual equipments” poiché avvantaggiano chi li ha… Chiesi la parola: “ma se li avessero tutti non sarebbero più vietati, o no?” Non sorrisero… Furono esposti al Museo dell’occhiale ad Agordo prima di entrare in commercio, esempio di come la genialità possa essere inutile».
«Si rilassi… Vada indietro nel tempo.
Ricorda quando incominciò ad interessarsi d’arte?…» — «Sì, sì… A Parigi… al marché aux puces… era autunno, l’aria frizzante, una bella giornata». La sotto voce del dottore faceva effetto: «Cosa stava cercando? Un’occasione, un souvenir a poco prezzo?» — «Sì ricordo, trovai a terra un quadretto, come se fosse stato perso da qualcuno… mi guardai attorno, nessuno mi guardava… mi chinai e lo raccolsi… un Signore distinto, dagli occhi blu mi comparve davanti… non sapevo come giustificarmi per averlo raccolto… come se mi fosse caduto di mano… “C’est à moi”… è mio, gli dissi. “Bonne chance”, buona opportunità, mi rispose sorridendo prima di andar oltre… Aveva un profumo particolare come quello di Gustavo Rol… io guardai il quadretto e lo persi di vista…».
«Ricorda il soggetto del quadro?» — chiese il dottore — «mi parve di essere attratto in un vortice oscuro. Sì, sì, ricordo un pino marittimo sopra a delle rocce bagnate dal salmastro marino… lontano sul mare una barca con una vela rossa come quelle della Bretagna… il pino presenta tre chiome verdi in prospettiva che suscita un ricordo che non è un ricordo, un vuoto che non è un vuoto, una presenza invisibile che appare nel quadro, il profilo di una donna che non parla ma che vorrebbe ricordare anch’essa una emozione sopita…».
«Continuai a camminare e fui attratto in un ampio capannone che odorava di segatura. Mi inoltrai e vidi delle tavole colorate con disegni geometrici. Non c’era nessuno e mi avvicinai, le toccai. Una voce dentro di me suggeriva che potessero essere le tavole dei dipinti optofonici di Rossiné Baranoff, 12 tavole perdute che contenevano la sua vasca da bagno, appaiate l’una contro l’altra nascondendo la faccia dipinta. Ecco perché non furono mai trovate… disperse nell’ammodernamento del bagno.
Voltai lo sguardo, lo spazio del capannone era deserto. Appoggiata all’altra parete una scultura su un blocco di legno chiaro. Mi avvicinai e vidi la scultura: il profilo di una donna che infissa un cappellino degli anni… la scultura del viso appare in rilievo, il legno scavato con maestria… La accarezzi e pare che il volto parli di sé. Di un ricordo lontano. Pare chiamarmi gridando comprami! Io sono in vendita! Prendimi portami con te!… Cercai il gestore, non c’era nessuno. Poi arrivò un’automobile dalla quale estrassero un mobiletto dal bagagliaio e lo abbandonarono lì. Prima di uscire, dai finestrini aperti mi dissero, vedendomi con la scultura lignea in mano: «Prendila! Qui è il deposito delle cose disperse! Prendila! Dai!…»
Il dottore mi diede due buffetti sulla guancia per svegliarmi. E mi destai.
«Qual è stato il suo ultimo ricordo interrotto? La statua di legno? Stava parlando ad alta voce… mi diceva che il volto della donna incisa nel legno le ricordò il volto che le era apparso nel quadretto che aveva trovato in terra… lo ricorda?».
Fui pronto a rispondergli: quadretto? Statua? Di quale statua stiamo parlando? Scusate, non ricordo nulla. Dottore, mi aiuti!.
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