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Alla scoperta dei vitigni piemontesi

Il Ruché fa litigare anche politici e produttori: ecco perché è un vino speciale

Importato dai monaci della Borgogna nel XII secolo, è perfetto con la bagna cauda e i formaggi

Il Ruché fa litigare anche politici e produttori: ecco perché è un vino speciale

E' scoppiata la "guerra del Ruché", nel cuore del Monferrato. I produttori, infatti, diffidano il Comune di Castagnole Monferrato - che è il cuore della produzione di uno dei più rari e pregiati vitigni piemontesi - dall'usare il nome Ruché nei loro eventi. Il motivo? Il paese, dicono loro per bocca del presidente Franco Cavallero, è troppo degradato e quindi "rovina" l'immagine di questo vino. Accuse che, ovviamente, il sindaco Francesco Marengo, ha rispedito al mittente. Ma il vicepresidente dei produttori, Luca Ferraris le cui etichette sono tra le più note di questo angolo di Monferrato, ha chiesto le dimissioni di vicesindaco e assessore per la poca attenzione a progetti di rivitalizzazione di Castagnole, a cominciare dall'ex teatro da trasformare in un centro di aggregazione e per ospitare eventi. Una bufera politica, più che enologica. Di mezzo, il presidente del Consorzio del Barbera Vitaliano Maccario che tenta di calmare gli animi ricordando che "la tutela del Ruché spetta al nostro Consorzio (quello dei produttori di Ruché ne è una costola, ndr)" e di conseguenza anche una eventuale diffida, che "non abbiamo mai avuto intenzione di fare". Intanto, questo giovedì 10 luglio, l'evento nel mirino si svolgerà regolarmente, ma anziché "Ruché sotto le stelle" si chiamerà "Brindisi sotto le stelle". 

Il vitigno dei frati di Borgogna

Uno scontro politico-economico in piena regola, quindi, per un vino che ha una storia nobile ed è un autentico motore economico del territorio. Vediamo perché: intanto, per la ridotta estensione della denominazione di origine controllata, di appena 110 ettari, poi per la delimitazione a un pugno di comuni (Castagnole Monferrato, Grana Monferrato, Montemagno, Portacomaro, Refrancore, Scurzolengo e Viarigi) decisa dal ministero dell'Agricoltura nel 2010. Una storia recente, dal punto di vista della Docg, ma certamente antica. Pur considerato vitigno autoctono, la tradizione è che sia stato importato in Piemonte nel XII secolo a opera di monaci cistercensi provenienti dalla Borgogna. Poi, negli anni '70 del ventesimo secolo, l'opera del parroco don Giacomo Cauda e della sindaca di Castagnole, Livia Bianco, ha portato alla riscoperta e valorizzazione del vitigno, fino a ottenere la Doc nel 1987.

Perché si chiama così

Ruché da San Rocco, per via della vicinanza di una cappella dedicata al santo che lotta contro la peste e le malattie e parte del monastero benedettino. Secondo altre fonti, il nome deriverebbe da un termine dialettale per indicare la sommità delle vigne esposte al sole.

Che vino è

All'olfatto si presenta intenso, leggermente fruttato, mentre al palato può essere secco o amabile, leggermente tannico. Il suo colore è un rosso rubino dalle sfumature violacee, leggermente aranciate con l'invecchiamento. E' consentito un taglio fino al 10 per cento con altre uve, in particolare Brachetto.

DOVE GUSTARE UN BUON RUCHE' A TORINO

Dove gustare un buon Ruché? Ma anche Grignolino, Dolcetto... C’è un posto dove, comunque vada, non ti sbagli mai: si chiama “Cantinone San Paolo” ed è nel cuore di Borgo San Paolo, in via Vigone 24. Una di quelle piole che ancora resistono alle mode e ai cambiamenti, dove c’è il gusto per le cene in compagnie ma anche la pietra miliare e irrinunciabile del “pranzo di lavoro”, ossia dove entri, ti siedi, ordini dal menù - scritto su una lavagnetta che ti viene portata al tavolo - e spendi poco. Un luogo di grande tradizione, visitato e apprezzato anche dal sindaco Stefano Lo Russo. Il bancone è quello di un tempo, così come i tavoli, mentre scaffali e scansie tappezzano le pareti di bottiglie ed etichette di straordinaria qualità. Il Ruché, si diceva. Disponibile anche sfuso, servito nel classico quartino, offre delle etichette magari meno note ma che riconciliano con il senso della tradizione: quello di Pierfrancesco Gatto, per esempio, vale una gita fino qui in Borgo San Paolo. E, naturalmente, bisogna ragionare anche di cibo: gli antipasti sono creativi e tradizionali al tempo stesso, il vitello tonnato si presenta come dovrebbe presentarsi sempre. Tra i primi, impossibile non cedere ai plin nel loro sugo d’arrosto o ai tajarin al ragù di salsiccia. Poi, la scoperta recente: quella dei tajarin con acciughe, stracciatella, pinoli, pane croccante e arancia candita. Ruspante e delicato. Di secondo, stracotto al vino oppure coniglio alla ligure, che nella sua ricetta originale resta una rarità. Nella stagione giusta, impossibile non farsi tentare dai funghi, che siano saltati o abbinati - anche qui - agli eccellenti tajarin. Per non alzarsi senza un dolce, il tiramisù in una originale declinazione al porto.

Con che piatti si abbina

Si sposa bene con la tradizione gastronomica piemontese, in particolare con la bagna causa, gli agnolotti ripieni, i secondi di selvaggina e anche con i formaggi stagionati, strepitoso con le tome. Ha una gradazione fra i 14 e i 15 gradi e la temperatura ottimale per servirlo è di 18 gradi.

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