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14 gennaio 1919
14 Gennaio 2024 - 07:00
Giulio Andreotti
Chi, più di lui, ha impersonato il regno della Dc? Chi, più di Andreotti, ha prestato il suo volto all’Italia del Boom ma anche della sporca politica di casa nostra - o Cosa Nostra? - , nella quale il potere si mescolava ad intrighi inconfessabili e macchinazioni degne dal sapore romanzesco? Giulio Andreotti. Il “Divo Giulio”, soprannome che per qualcuno gli fu affibbiato per non dover pronunciare il nome del diavolo; d’altronde è noto che Craxi lo appellava “Belzebù”.
E se fosse stato soltanto uno scaltro politico, e nulla più? Un abile fabbricatore di aforismi, magari, poiché ad Andreotti ne sono attribuite decine, veri o presunti. A cominciare dal più noto, «Il potere logora chi non ce l’ha», che egli avrebbe coniato sulla falsariga di un motto del principe di Talleyrand, factotum del periodo napoleonico. Ah, sì: di similitudini tra Talleyrand, esperto equilibrista in un periodo di traversie, e Giulio il Divino ce n’erano. Eccome. Li dividevano i secoli e la patria, altrimenti sarebbero stati buoni compagni di bevute. E non solo.
Nacque a Roma, il 14 gennaio 1919. Proveniva da una famiglia benestante e si laureò in giurisprudenza. Fin da giovane mostrò un interesse precoce per la politica e divenne membro della Federazione Universitaria Cattolica Italiana (Fuci). Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, Giulio Andreotti entrò a far parte del governo italiano. La sua abilità politica e le sue doti di negoziatore lo resero presto una figura di spicco all’interno della Democrazia Cristiana. Nel corso degli anni, ricoprì numerosi incarichi ministeriali, guadagnandosi la reputazione di abile stratega politico. Egli guidò ben sette governi distinti, il numero più alto nella storia della Repubblica Italiana. Ricoprì incarichi chiave, tra cui Ministro degli Esteri, Ministro della Difesa e Ministro del Tesoro.
La sua leadership fu caratterizzata da una gestione pragmatica degli affari interni ed esteri, spesso attraverso coalizioni politiche e compromessi, e la sua persona fu sempre considerata tra le più rappresentative del panorama politico del Belpaese; e tutto ciò, nonostante la sua imputazione nel “processo del secolo”, che lo vide imputato per i reati di partecipazione ad associazione mafiosa. In esso, il ministro fu chiamato a rispondere dei suoi rapporti, organici e correntizi, con Cosa Nostra; specie con il capo mafioso Andrea Manciaracina, vicino a Totò Riina. I misteri si infittirono. La morte nel 1979 del giornalista scomodo Mino Pecorelli, che aveva materiale scottante su Andreotti e sugli intrighi italiani di allora, come il caso Moro. E poi la vicinanza dello “Zio Giulio” a figure controverse - eufemismo - come il faccendiere Sindona. Una vita ricca di luci ed ombre, e forse con il senno di poi più ombre che luci. Viene da pensare che sia inevitabile, nella carriera di un politico di lungo corso. Politico che, bersagliato dai vignettisti per la sua gobbetta e per il volto caricaturale, ha regnato sull’Italia nel periodo più torbido della sua storia recente.
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