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IL PERSONAGGIO

Bukowski, cosa ci resta trent'anni dopo?

La vita dissoluta e la scrittura spregiudicata di un'icona controcorrente della letteratura mondiale

"Charles Bukowski: Il Selvaggio della Parola e dell'Anima"

A trent’anni dalla morte Charles Bukowski è assurto al ruolo ormai conclamato di classico contemporaneo della letteratura americana o della letteratura tout court. Un riconoscimento assolutamente meritato conferitogli in primis da quei lettori che lo scoprirono durante la loro (la nostra) giovinezza. Ricordo ancora quando mi imbattei per caso, forse nel 1980, nel suo capolavoro “Storie di ordinaria follia”: quarantatré racconti apparentemente insensati. Lo lessi con bestiale voracità perché mai avevo letto una prosa così cruda , sfrontata e irriverente.

Ma soprattutto mi colpirono gli ambienti, le situazioni vissute e i personaggi. Figure come Henry Chinaski, che è il suo alter ego letterario, sono rappresentazioni di se stesso e tutti i suoi scritti sono perlopiù autobiografici. Le storie che racconta, anche le più assurde, sono vere perché comprovate dalla loro ripetizione e dal cenno di altre fonti. Molte vicende raccontate mi sembrò di averle vissute anch’io con i miei amici più stretti. I nostri anni venti (dai vent’anni ai ventisette circa) videro anche noi protagonisti di avventure, talvolta alcoliche, con esclusi e respinti, al limite della politica, al limite del buonsenso, assieme a diversi personaggi sciroccati, svalvolati, fumati e femmine libere o a pagamento, con gli ormoni che andavano a mille. Quando già le nostre vite avevano imboccato percorsi più concreti nel lavoro e nella famiglia un giorno incontrai il mio amico M. , col quale avevo vissuto ogni sorta di avventura negli anni settanta, e gli dissi di comprare e leggere subito quel libro di tale Bukowski. Sembrava gli stessi parlando segretamente di un samizdat, tale era per me il clima psicologico per la scoperta di uno scrittore controcorrente, fuori dalle regole, di quelle stesse regole che ci volevano anche tener fuori dal gioco politico e che spesso e volentieri avevamo infranto. Rivivevo soprattutto un altro momento, di quando marinando la scuola, fanculo i lirici greci, mi trovavo, nei sessanta, con P. nelle allora gelide mattine torinesi per andare alla biblioteca civica dove venivo iniziato agli innominabili scrittori maledetti soprattutto francesi: Celine, Drieu la Rochelle, Montherlant, Rebatet, Brasillac, ecc.

La linea di demarcazione tra vita e letteratura era molto sfumata in Bukowski. Una volta andò a trovare il regista Les Blank, che era un suo fervente ammiratore e, un bicchiere tira l’altro, a un certo punto il regista gli porge una copia del libro “Memorie di un vecchio sporcaccione” per farselo autografare, lo scrittore aprì il libro, ci sputò dentro e lo restituì a Les Blank. Non ancora soddisfatto scatenò una rissa con tutti i presenti cercando di menare il regista. Altro episodio, visto in televisione dal sottoscritto, di notte su Rai3 qualche anno fa, Bukowski era in un luogo caldo all’aperto attorniato da giovani ammiratrici che lo guardavano adoranti e lo intervistavano su temi letterari. Il bottiglione del vino era sul tavolino e lui continuava a bere, rispondeva ma si capiva che le domande lo stavano annoiando. Improvvisamente si gira verso quella più vicina a lui e le chiede a bruciapelo di fargli un pom…. Sono molti gli episodi sopra le righe che lo riguardano, sempre fuori dagli schemi e scandalosamente senza freni. Era il suo modo individuale di ribellarsi. Per chi lo amava e lo ama un inno alla vita. E sì, qualche volta Bukowski ci sembrava di averlo conosciuto di persona, di aver percorso qualche remoto tratto di strada insieme. Si può, semplificando perché è inclassificabile, considerarlo anarco-fascista (un anarca più che un anarchico). Un uomo che a cinquanta anni si licenzia dal posto sicuro alle poste per liberarsi dal lavoro e darsi alla scrittura. Ma senza tralasciare il vizio delle corse dei cavalli, delle risse, del sesso sfrenato e dell’alcol. Il contesto del suo mondo è un’America squallida ed egoista, violenta e cinica dove nel sogno americano non hanno posto i tipi che non “stanno alla regola”, i reietti e gli irregolari.

Nel 1981 un altro irregolare, il regista Marco Ferreri, già combattente della RSI, confeziona un bel film “Storie di ordinaria follia” dal libro omonimo, volutamente dimenticato dalla filmografia italiana. Il mito di Bukowski inizia a consolidarsi, anche in Italia, con le edizioni di altri suoi romanzi, come “Musica per organi caldi”, “Compagno di sbronze”, ”Memorie di un vecchio sporcaccione” e libri di poesie. Moltissimi però erano i detrattori tra critici bacchettoni e antesignani del politicamente corretto. 

“Ed io ti penso, ma non ti cerco” – Charles Bukowski

Non ho smesso di pensarti,
vorrei tanto dirtelo.
Vorrei scriverti che mi piacerebbe tornare,
che mi manchi
e che ti penso.
Ma non ti cerco.
Non ti scrivo neppure ciao.
Non so come stai.
E mi manca saperlo.
Hai progetti?
Hai sorriso oggi?
Cos’hai sognato?
Esci?
Dove vai?
Hai dei sogni?
Hai mangiato?
Mi piacerebbe riuscire a cercarti.
Ma non ne ho la forza.
E neanche tu ne hai.
Ed allora restiamo ad aspettarci invano.
E pensiamoci.
E ricordami.
E ricordati che ti penso,
che non lo sai ma ti vivo ogni giorno,
che scrivo di te.
E ricordati che cercare e pensare son due cose diverse.
Ed io ti penso
ma non ti cerco.

Chissà oggi quale casa editrice sarebbe disposta a pubblicare il misogino Bukowski se fosse apparso sulla scena letteraria quarant’anni dopo. Probabilmente le femministe assatanate del Mee Too avrebbero organizzato cortei contro di lui, i cultori del woke avrebbero gridato al razzista integrale, i media mainstream avrebbero fatto campagne per annientarlo, la cancel culture avrebbe cercato di annichilirlo. Ma ci sarebbero stati comunque uomini e donne con la schiena dritta che avrebbero fatto fronte per contrastare il bigottismo dei nuovi conformisti. Per fortuna il vecchio beone Chinaski è già nell’empireo della letteratura insieme all’amato Hemingway.

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