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SPECIALE SAN DONATO
15 Ottobre 2024 - 15:04
La ditta Bosio & Caratsch
n Il borgo del cioccolato e della birra, ma anche il quartiere dei santi. San Donato è ricco di contraddizioni, che si amalgamano armoniosamente e fanno di questo antico sobborgo un piccolo universo a se stante. Nell’Ottocento dobbiamo immaginarlo animato da un continuo viavai di operai, diretti agli innumerevoli stabilimenti che qui sorgevano e che hanno fatto letteralmente la storia del quartiere. Forse in nessun’altra parte della città c’erano tante realtà di prestigio, specialmente dolciario: molti ricorderanno che la Talmone-Caffarel aveva qui il proprio impianto produttivo. Probabilmente, fu proprio qui, nell’antico stabilimento di via Balbis, che nel 1865 nacque il Giandujotto, il cioccolatino- simbolo di Torino. Dal Giandujotto alle caramelle, il passo è breve; ed anche la distanza, perché per andare alla sede delle note pastiglie Leone era necessario semplicemente attraversare corso Regina Margherita.
Poco oltre, c’erano gli stabilimenti del “panettonificio” Torinese, che consacrò la città della Mole a degna rivale di Milano nella produzione del più classico dolce natalizio. E, se volevate bere qualcosa, nessun problema: sempre nel quartiere c’erano gli stabilimenti di ben due note marche di birra: la Bosio & Caratsch di corso Principe Oddone 81 e la Metzger di via San Donato 68. Il tutto, senza dimenticare industrie metalmeccaniche, officine, imprese di ogni sorta. Naturale che, nel panorama sociale dell’Ottocento, proprio in borgo San Donato si sviluppasse uno di quei capitoli della santità torinese che ancora oggi destano tanta ammirazione. D’altronde, la crescita del quartiere si deve in particolar modo ai suoi “fondatori” spirituali, vale a dire il beato Francesco Faà di Bruno, il teologo Gaspare Saccarelli e don Pietro Merla, il protettore delle ragazze finite sulla strada.
Del primo, resta un monumento incredibile - eppure così poco noto - cioè la torre campanaria della chiesa di Nostra Signora del Suffragio e Santa Zita, un progetto che all’epoca fece scalpore, perché sembrava sfidare le leggi fisiche. Quest’uomo, che fu militare, architetto, matematico ed anche sacerdote, dovrebbe essere un esempio della capacità dei torinesi di saper far fronte ad ogni necessità, semplicemente mettendosi di impegno. Con soluzioni ai problemi che, a volte, possono ingegnose ma al contempo banali: Francesco Faà lo sperimentò posizionando un grande orologio sul campanile della chiesa, in modo che tutti gli operai del quartiere potessero vedere l’ora e non venissero raggirati dai datori di lavoro.
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