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"Taskmasking": un trucco per fingere di lavorare e perchè sta spopolando proprio in Italia

La nuova tendenza che spopola tra i giovani lavoratori: sembrare sempre impegnati senza aumentare la produttività. Strategie, rischi e il suo impatto sul mondo del lavoro

"Taskmasking": un trucco per fingere di lavorare e perchè sta spopolando proprio in Italia

Negli ultimi mesi si sente parlare sempre più del cosiddetto "taskmasking", una tendenza che ha preso piede soprattutto tra i più giovani e che ora si sta diffondendo anche in Italia

Il termine nasce dalla fusione di "task" (compito) e "masking" (mascherare) e descrive la pratica di fingersi sempre impegnati sul posto di lavoro, senza però necessariamente essere produttivi. Una forma di iper-produttività performativa, dove l'apparenza di essere oberati di impegni conta più dell'effettivo rendimento. Un fenomeno che in un mondo del lavoro sempre più competitivo e stressante potrebbe avere conseguenze significative sia per le aziende che per i lavoratori stessi.

L'epoca del lavoro flessibile introdotta con la pandemia ha lasciato in eredità un nuovo rapporto con la produttività. Con il ritorno in ufficio, molti lavoratori, soprattutto della Generazione Z, hanno sviluppato una forma di resistenza silenziosa alle pressioni aziendali. Il taskmasking diventa così una risposta strategica a un ambiente che richiede costantemente la massima efficienza.

Esistono delle vere e proprie tecniche di taskmasking, un manuale che si sta diffondendo tra i più giovani tramite i social:

  • Camminare veloci con il laptop sottobraccio per dare l'impressione di essere diretti a una riunione importante.
  • Riempire il calendario di meeting, call e aggiornamenti, spesso inutili.
  • Parlare ad alta voce dei propri compiti, anche se non si sta facendo nulla di concreto.
  • Presentarsi molto presto in ufficio o restare fino a tardi senza svolgere mansioni reali.
  • Simulare un'intensa concentrazione fissando il computer o portando sempre le cuffie.

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Anche in Italia il taskmasking sta emergendo come una nuova forma di gestione della pressione lavorativa. In città come Milano, dove la cultura dell'iper-produttività è radicata, sempre più giovani lavoratori adottano questa strategia per bilanciare il carico di lavoro e il benessere personale. Tuttavia, il rischio di normalizzare questa pratica potrebbe portare a un'inefficienza generalizzata, con aziende che implementano controlli sempre più invasivi per monitorare la reale produttività dei dipendenti.

Alcuni studi suggeriscono che il taskmasking non sia solo un segnale di pigrizia, ma una reazione a un modello lavorativo che impone ritmi insostenibili senza un adeguato riconoscimento economico o di benessere. In questo senso, il fenomeno può essere interpretato come una forma di resistenza passiva alle dinamiche dell'eccessiva sorveglianza aziendale.

Se da un lato il taskmasking può essere visto come una strategia di autodifesa dai ritmi lavorativi sempre più pressanti, dall'altro rischia di diventare un pericoloso boomerang. In un mercato già provato dalla precarietà e dall'ipercompetizione, fingere di lavorare può portare a una perdita di fiducia reciproca tra aziende e lavoratori, incentivando nuove misure di controllo e riducendo le opportunità di crescita professionale.

L'equilibrio tra produttività e benessere lavorativo è un tema sempre più centrale. La sfida per le aziende italiane sarà quella di riconoscere le cause di questa tendenza e affrontarle in modo costruttivo, evitando di cadere nella trappola della mera repressione. D'altro canto, per i lavoratori, sarà importante trovare modi più sostenibili per gestire lo stress lavorativo senza cadere in meccanismi che, a lungo termine, potrebbero risultare controproducenti.

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