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“Faremo del nostro meglio”: oggi Meloni vola da Trump a Washington nel momento più delicato per l’Italia

Obiettivo della premier: proteggere export, difesa e il ruolo dell’Italia tra UE e Stati Uniti

“Faremo del nostro meglio”: oggi Meloni vola da Trump a Washington nel momento più delicato per l’Italia

Giorgia Meloni vola negli Stati Uniti per l'incontro con Donald Trump in un momento che definire delicato è un eufemismo. La premier affronta quella che appare come una delle missioni diplomatiche più significative del suo mandato: da un lato il tentativo di consolidare il proprio ruolo come interlocutore privilegiato della possibile futura amministrazione repubblicana, dall’altro la necessità di tenere saldo il legame con Bruxelles e ribadire la fedeltà al progetto europeo.

Il D-Day è oggi, ma si gioca da settimane, con una preparazione diplomatica accurata, bilanciata e piena di incognite. La sfida è chiara: restituire centralità all'Italia sullo scacchiere internazionale, senza cadere in ambiguità.

Alla cerimonia dei Premi Leonardo, alla vigilia della partenza, Meloni ha scelto un tono misto tra determinazione e cautela. Nessun trionfalismo, solo la consapevolezza del momento. “Faremo del nostro meglio, sono consapevole di ciò che rappresento e di ciò che sto difendendo”, ha detto davanti a una platea di imprenditori. Nessuna sottovalutazione delle difficoltà: “Abbiamo superato ostacoli ben peggiori, ne supereremo altri peggiori”.

Nel mezzo, il valore dell'export, del brand Italia, e il tentativo di rafforzare – anche con gesti simbolici – un ponte culturale ed economico. Come già fatto con Re Carlo, anche Trump riceverà un dono della tradizione italiana: un'operazione di soft diplomacy che affianca alla fermezza politica un tratto umano, quasi affettuoso.

Il nodo centrale resta la questione dei dazi, ancora irrisolta e potenzialmente esplosiva per l'economia europea. L'Italia si propone come mediatore, come soggetto capace di aprire spiragli, di facilitare il dialogo. Il vertice con Trump potrebbe rappresentare un passo verso una linea più distensiva, magari preludio a un incontro con Ursula von der Leyen, anch'essa alle prese con un'Europa che guarda con attenzione al 2025 elettorale americano.

Antonio Tajani, intervenuto anche lui alla cerimonia, ha parlato di una "missione di pace commerciale", mettendo in guardia da reazioni emotive e invocando il sangue freddo: “Sui dazi ha fatto più danni il panico della realtà stessa”.

Meloni insiste sulla forza del sistema produttivo italiano, sulla qualità che continua a fare la differenza, anche in tempi di crisi. “Quando un prodotto italiano viene esportato, la gran parte della ricchezza si produce dove viene venduto, ma è ricchezza che nasce da qui. Ed è interesse di tutti continuare a collaborare con l'Italia”, ha detto, rivendicando anche l'impegno profuso nei suoi viaggi istituzionali.

Il messaggio è chiaro: l'Italia è affidabile, ambiziosa, e pretende di giocare un ruolo da protagonista nei nuovi equilibri globali. Ma è anche un Paese che sa usare l'identità come leva diplomatica. Un Paese che non dimentica di raccontare la sua storia, anche attraverso i successi delle imprese familiari, delle eccellenze agroalimentari, delle capacità industriali.

Il clima alla vigilia è prudente, ma positivo. Gli sherpa di Palazzo Chigi lavorano per limare le dichiarazioni congiunte, evitando ogni rischio di incomprensione. La missione non è solo politica: è economica, culturale, strategica. E segna un passaggio chiave per la postura internazionale dell'Italia nei prossimi anni.

Per Meloni si tratta di un banco di prova rilevante, che potrebbe rafforzare la sua immagine sul piano internazionale o metterne in evidenza i limiti. Ma, come lei stessa ha detto, “gli unici limiti reali sono quelli in cui decidiamo di credere”.

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