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Moda
17 Aprile 2025 - 09:15
Nel teatro in perenne mutamento che è la moda, ogni cambio di regia lascia il pubblico in trepidante attesa. Ma quando il palcoscenico è quello di Jean Paul Gaultier, l’effetto è ancora più dirompente. La maison che ha riscritto le regole dell’eleganza, abbracciato il kitsch come virtù e sfidato il gender prima che diventasse una parola d’uso comune, ha ora un nuovo protagonista: Duran Lantink. E fidatevi, non è un personaggio da comprimario.
L'olandese dallo sguardo sfrontato e la mente affilata come le sue sartorie decostruite, è il nuovo direttore creativo della casa francese. Un annuncio che ha mandato un fremito tra i redattori di moda, gli archivi di Pinterest e le bacheche Instagram. Perché Gaultier non è un nome qualunque: è un’eredità, un culto, una dichiarazione d’intenti. E Lantink? È il figlio ribelle che tutti aspettavano, ma nessuno si aspettava davvero.
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Classe 1987, nato a L’Aia e cresciuto tra stoffe e idee fuori misura, Duran Lantink è noto per il suo approccio upcycled ante litteram e le sue creazioni capaci di sovvertire tutto: genere, forma, funzione. Non cuce abiti, costruisce pensieri indossabili. Ha fatto parlare di sé con progetti che fondono arte, attivismo e avanguardia, ed è stato applaudito (e premiato) da istituzioni come ANDAM e Woolmark, con l'entusiasmo che si riserva alle nuove icone.
Il suo stile? Impossibile da definire, e proprio per questo perfetto per Gaultier. Protesi di genere, corsetti maschili, silhouette che sembrano puzzle esplosi e poi ricomposti con poesia. In ogni sua collezione c’è un manifesto: la moda può (e deve) essere politica, personale, profondamente libera.
L’appuntamento è fissato: settembre 2025, Paris Fashion Week, il debutto ufficiale di Lantink alla direzione del prêt-à-porter Gaultier. E c’è già chi parla di “sfilata dell’anno”. Non solo perché il brand mancava dalle passerelle da tempo, ma perché questo è un ritorno che somiglia molto a una rivoluzione.
E come ogni rivoluzione, porta con sé entusiasmo, curiosità e una buona dose di aspettative, ma Lantink non sembra intimorito. Anzi. “Jean Paul ha dato voce a chi non ne aveva nella moda”, ha dichiarato in un’intervista recente, “ora tocca a me continuare quella conversazione, con nuovi vocaboli”. E siamo certi che tra questi ci saranno parole come sostenibilità, fluidità, sperimentazione.
Chiunque pensi che Lantink sia stato scelto per imitare Gaultier, si sbaglia di grosso. Questo non è un revival, è un passaggio di testimone a occhi aperti. Jean Paul Gaultier non ha mai cercato cloni, ma spiriti affini e in Lantink ha trovato un degno erede, uno che sa dissacrare, ma anche costruire, che conosce il mestiere, ma non ha paura di distruggerlo per reinventarlo.
Il debutto nella haute couture, previsto per gennaio 2026, sarà il banco di prova definitivo. Ma se c’è qualcuno capace di tenere testa a corsetti coniche e marinaretti queer, è proprio lui. Dopotutto, il suo è un universo dove il concetto di “bello” viene frullato con l’ironia, il dramma e il desiderio. Esattamente come faceva Jean Paul, solo con lo sguardo rivolto a un 2026 che non ha più paura di mostrarsi vulnerabile, ibrido, vero.
Cosa aspettarsi, dunque, dal nuovo corso Gaultier? Tutto e il contrario di tutto. Abiti che raccontano storie, collezioni pensate come installazioni, silhouette che si muovono tra l’infanzia e l’età adulta, tra il femminile e il maschile, tra i sogni e gli scarti. Con Lantink, ogni pezzo sarà una dichiarazione. Ogni passerella, un atto teatrale.
È presto per dire dove porterà questa nuova era, ma con Lantink al timone, la maison ha ritrovato la sua voce—impertinente, lucida, gioiosa. Proprio come dovrebbe essere la moda quando osa essere sé stessa.
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