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MUSICA
11 Maggio 2025 - 22:30
Fonte: Instagram
C’è qualcosa in Umore marea che ti prende al volo. Forse è il modo in cui Bresh riesce a parlare delle emozioni senza sovrastrutture, o forse è quel ritornello che resta addosso come l’odore del mare a fine giornata. Il nuovo singolo, prodotto da Shune, e arriva a pochi mesi da La tana del granchio, la canzone con cui ha calcato il palco dell’Ariston e conquistato il disco d’oro.
Bresh ha questa capacità rara: riesce a trasformare il caos quotidiano in canzoni che sembrano lettere mai spedite. In Umore marea, racconta gli sbalzi dell’anima come se fossero onde: vanno su, poi giù, poi di nuovo su, senza un vero perché. Non c’è bisogno di spiegare troppo, bastano poche parole per entrare in quel flusso.
Tra le frasi che colpiscono di Umore marea, ce ne sono due che suonano come un manifesto generazionale: “Non fare la cosa giusta se ne è valsa la pena / Stavamo per la strada a fare tutti pena”. In poche parole, Bresh mette a nudo un senso diffuso di smarrimento, ma anche una certa fierezza nel non aver seguito le regole. Non è cinismo, è consapevolezza: a volte sbagliare è stato l’unico modo per sentirsi vivi. E anche quando “si faceva pena”, c’era una forma di autenticità che oggi diventa memoria condivisa. È quel tipo di malinconia che non si rimpiange, ma si custodisce. Come a dire: eravamo fragili, forse ridicoli, ma almeno eravamo veri.
È il suo marchio di fabbrica: scrive come si pensa. E così finisce per raccontare amori a scadenza, silenzi che fanno più rumore di mille parole, giornate storte che però – alla fine – passano. Umore marea non fa finta di niente. Dice che non sempre va tutto bene, ma va bene così. C’è dentro un’intera generazione che non si ritrova nei grandi discorsi, ma in piccole scene: una finestra chiusa troppo presto, un messaggio lasciato a metà, un cuore che non sa da che parte stare. Ed è per questo che funziona: perché non cerca risposte, ma compagnia. E mentre l’estate si avvicina, lui ci regala un pezzo che non ha il sapore dei tormentoni, ma quello – molto più raro – delle cose vere.
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