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Curiosità
13 Maggio 2025 - 19:00
Immaginate di essere alla corte del grande re persiano Cosroe I, circondati da tappeti preziosi, avorio intagliato e sapienti intenti a risolvere enigmi. Un ambasciatore indiano avanza, esibendo una scacchiera squisitamente decorata, e lancia una sfida:
"Oh grande re, chiama i tuoi saggi e lascia che risolvano i misteri di questo gioco. Se riusciranno, il nostro sovrano pagherà tributo a te; ma se falliranno, saranno i persiani a piegarsi all'India."
Questa non è una semplice partita: è un duello di intelligenza, diplomazia e prestigio. Ma come siamo arrivati a questo drammatico incontro? Per scoprirlo, dobbiamo viaggiare indietro nel tempo, attraversando deserti, montagne e palazzi dorati, fino alle misteriose origini degli scacchi.
Tutto ebbe inizio nel subcontinente indiano, nel VI secolo. Qui nacque il Chaturanga, un gioco da tavolo che simulava le battaglie tra eserciti. Il nome, in sanscrito, significa "quattro divisioni" e si riferisce ai quattro corpi militari indiani: fanteria, cavalleria, elefanti e carri. Ma Chaturanga non era solo un passatempo: era una lezione di strategia.
Il gioco veniva disputato su una scacchiera chiamata Ashtāpada, un quadrato 8x8, ma senza le caselle alternate in bianco e nero che conosciamo oggi. E non era l'unica scacchiera: esistevano anche la Dasapada (10x10) e la Saturankam (9x9), alcune con caselle segnate da X misteriose, forse "zone sicure" dove i pezzi non potevano essere catturati.
Ma il vero segreto del Chaturanga era il suo cuore filosofico. Secondo alcuni studiosi, lo sviluppo della scacchiera e del gioco stesso potrebbe essere legato all'illuminismo indiano, che portò anche alla scoperta del numero zero. Un gioco che simulava il caos della battaglia, ma che si basava su regole precise, come l'universo stesso.
In alcune varianti antiche, i pezzi non si muovevano per scelta del giocatore, ma secondo il risultato di un dado. Una teoria affascinante suggerisce che gli scacchi siano nati come un gioco di dadi, dove la sorte decideva il destino dei guerrieri. Ma i filosofi induisti, ostili all'idea di lasciare il destino alla fortuna, rimossero il dado, trasformando il gioco in una pura sfida di abilità.
Dal subcontinente indiano, il gioco si diffuse verso ovest, raggiungendo la Persia. Qui divenne noto come Shatranj, e la sua aura si trasformò. Non più una semplice simulazione di battaglia, ma una disciplina filosofica, una sfida di astuzia e intelligenza. La Persia non si limitò a importare il gioco, ma lo arricchì. I pezzi acquisirono nuovi nomi: il re divenne lo Shah, il consigliere il Firzan, e l'obiettivo della partita era mettere lo Shah sotto scacco matto, o come si diceva in persiano, "Shah Mat" che in arabo si trasformerà in "Al-Sheykh mat" (letteralmente "il re è morto") da cui deriva il modo di dire usato ancora oggi.
Uno dei più antichi riferimenti agli scacchi nella cultura persiana si trova nel Kar-Namag i Ardashir i Pabagan, il Libro delle Gesta di Ardashir. Qui, il leggendario fondatore dell'Impero Sasanide viene celebrato come un maestro dello Chatrang (un'altra variante del nome Shatranj), simbolo del suo acume e della sua abilità strategica.
Anche i sapienti persiani fecero del gioco uno strumento di studio. Lo storico Abu al-Hasan 'Ali al-Mas'udi descriveva come lo Shatranj fosse usato per insegnare matematica, strategia militare e persino astronomia.
Durante il regno di Cosroe I, la Persia non solo ricevette gli scacchi dall'India, ma anche il Kalila wa Dimna, una raccolta di favole sapienziali. Gli stessi ambasciatori che portarono questi racconti introdussero anche la scacchiera, come simbolo della capacità di risolvere enigmi e intrighi. Una mossa strategica, letteralmente.
Dai campi militari, ai sapienti fino alla teologia, gli scacchi diventarono una passione per poeti e filosofi, ma soprattutto per gli intellettuali che dedicarono la loro vita allo studio dell'Islam. Lo studioso islamico Al-Ghazali, nel suo capolavoro "L'Alchimia della Felicità", usava gli scacchi per parlare delle tentazioni della vita:
"Una persona che si abitua a giocare a scacchi potrebbe sacrificare tutte le comodità del mondo per questo piacere, senza riuscire a tenersene lontano."
Per Al-Ghazali, il gioco rappresentava una trappola: la sfida intellettuale poteva diventare un'ossessione. Ma la sua popolarità crebbe senza sosta.
Dalla Persia ci arriva il Matikan-i-Chatrang, un antico manoscritto in medio persiano che spiega le regole del gioco e ne racconta le leggende. Un vero e proprio manuale di strategia, ma anche un testo di filosofia. Tra le storie più affascinanti, c'è quella del re di Hind che sfidò la corte persiana. Quando il saggio Bozorgmehr risolse il mistero degli scacchi, i persiani non solo trionfarono, ma acquisirono un nuovo strumento per insegnare la saggezza.
Ma c'è un'altra leggenda, ancora più antica. Due fratelli, Talhand e Gav, combatterono per il trono dell'India. Quando Talhand morì senza ferite visibili, la madre disperata non capiva come fosse accaduto. Per spiegarglielo, i saggi inventarono il gioco degli scacchi: ogni pezzo rappresentava un'unità dell'esercito, e i movimenti sulla scacchiera narravano la battaglia. Talhand, senza via di fuga, era morto di paura, circondato dai nemici.
Oggi, quando muovete i vostri pezzi, ricordate che state partecipando a una tradizione millenaria. Ogni apertura, ogni sacrificio, ogni scacco matto è un'eco delle battaglie di re, saggi e guerrieri del passato.
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