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14 Maggio 2025 - 21:10
DeepSeek non molla. Neanche il Garante. Dopo aver ottenuto la rimozione dell’app dagli store, l’Autorità italiana per la privacy tenta il colpo grosso: oscurare direttamente il sito della controversa intelligenza artificiale cinese. Ma tra intenzioni e realtà si apre un abisso normativo.
Il chatbot, che secondo il Garante viola il GDPR trattando illecitamente i dati degli utenti italiani, resta liberamente accessibile da browser. Il blocco dell’app non basta. Serve colpire il sito. Ma come? L’Autorità ha scritto ai provider italiani (riuniti in Aiip), invitandoli a impedire l’accesso al dominio Deepseek.com. Nessun ordine diretto però: solo un “invito”. Perché? Perché la legge, semplicemente, non glielo permette.
L’Aiip risponde per le rime: “Siamo pronti al dialogo, ma senza provvedimenti formali non possiamo agire”. Insomma: senza una norma esplicita, i provider non oscurano niente. E il Garante resta con le mani legate, se non arriverà un intervento legislativo o il supporto dell’Agcom.
Nel frattempo DeepSeek raccoglie dati. Tranquillamente. Come se nulla fosse. E questo solleva una questione più ampia e urgente: in Italia, bloccare un servizio online che viola la privacy è quasi impossibile. A differenza di quanto accade per il gioco d’azzardo illegale o la pirateria, dove le leggi permettono l’intervento immediato dei provider, sul fronte privacy siamo fermi.
Una possibile scappatoia è il Digital Services Act, che consente l’adozione di misure contro contenuti illegali online. Ma nella lettera inviata ai provider, il Garante non lo cita esplicitamente. Forse lo farà in futuro, forse no. Ma il tempo stringe, e il caso DeepSeek rischia di diventare il simbolo di un sistema normativo in affanno davanti alle nuove AI globali.
Nel frattempo, chi vuole usare DeepSeek... può farlo. E con un clic.
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