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21 Maggio 2025 - 15:35
Le impronte digitali sono uno degli strumenti più importanti nelle indagini forensi, un dettaglio minuscolo che può rivelarsi decisivo per identificare un sospettato. Pensiamo a una scena del crimine: su molti oggetti, da una bottiglia a una pila di fogli di carta, fino all’arma del delitto, possono rimanere tracce invisibili ma altamente rivelatrici. Ma cosa sono esattamente le impronte digitali e come riesce la polizia scientifica a rilevarle?
Fondamentalmente, le impronte digitali sono il risultato dei solchi cutanei che abbiamo sulla punta delle dita, una combinazione unica di creste e valli che ci distingue dagli altri. È interessante sapere che, sebbene si considerino uniche per ogni individuo, questa caratteristica è stata dimostrata solo su base empirica e non scientificamente. A depositarsi sulle superfici non è altro che il nostro sudore, composto quasi interamente da acqua, con una piccola percentuale di costituenti organici e sali inorganici. Ciò che rimane visibile, o meglio rilevabile, è il disegno che riproduce esattamente la disposizione delle creste della pelle.
Quando la polizia scientifica entra in una scena del crimine, deve affrontare tre tipi di impronte: quelle visibili, lasciate da mani sporche su superfici pulite; quelle modellate, impresse su materiali più malleabili come la cera; e quelle latenti, invisibili a occhio nudo e quindi più difficili da individuare. Per far emergere queste ultime, vengono utilizzati metodi specifici. Il procedimento più tradizionale consiste nello spargere una polvere speciale di alluminio che aderisce alle linee papillari e permette di identificare il disegno dell’impronta, che viene poi trasferito su un nastro adesivo. In alternativa, per le superfici porose come carta o legno grezzo, si ricorre a reagenti chimici come la ninidrina, mentre per materiali plastici si utilizza l’evaporazione metallica in alto vuoto. In alcuni casi, quando le condizioni lo permettono, la luce laser può evidenziare dettagli altrimenti difficili da percepire.
La qualità di un’impronta digitale dipende da vari fattori. Uno degli elementi chiave è la sudorazione della persona, che può essere influenzata da condizioni psicofisiche, così come l’ambiente e la superficie sulla quale viene lasciata l’impronta. I materiali lisci e levigati, come vetro, ceramica e metalli verniciati, sono quelli che meglio conservano le tracce. Tuttavia, anche il tempo gioca un ruolo fondamentale: su superfici porose, il sudore viene assorbito e le impronte tendono a durare più a lungo, mentre su materiali non porosi possono svanire più rapidamente.
Una volta rilevate, le impronte vengono confrontate con quelle presenti nell’archivio AFIS, il sistema di identificazione automatica. Se si riscontrano almeno 16 corrispondenze tra due impronte, secondo il nostro ordinamento giudiziario si può confermare l’identità di una persona.
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