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Medicina

Demenza ad esordio precoce: quando il declino cognitivo arriva prima dei 65 anni

Cause, sintomi, diagnosi e trattamenti di una condizione spesso sottovalutata

Demenza ad esordio precoce: quando il declino cognitivo arriva prima dei 65 anni

Contrariamente all'immaginario comune, la demenza non è una malattia esclusiva della terza età. In una minoranza di casi, può insorgere ben prima dei 65 anni, colpendo individui nel pieno della vita lavorativa e familiare. Si parla allora di demenza a esordio precoce o, in termini più aggiornati e meno stigmatizzanti, di disturbo neurocognitivo maggiore (NCD) precoce. Una condizione ancora poco conosciuta, ma dalle conseguenze profonde su pazienti e caregiver.

Cos’è la demenza a esordio precoce

Il termine “dementia praecox”, coniato da Emil Kraepelin a fine Ottocento, oggi non viene più usato in ambito clinico: designava ciò che oggi chiamiamo schizofrenia. Oggi la parola “demenza” è associata a patologie neurodegenerative come l’Alzheimer, ma si preferisce parlare di disturbo neurocognitivo maggiore, soprattutto quando si presenta prima dei 65 anni.

Si tratta di un declino progressivo delle funzioni cognitive: perdita di memoria recente, difficoltà linguistiche, disorientamento spaziale e temporale, alterazioni comportamentali e dell’umore, problemi nel prendere decisioni e nel compiere azioni quotidiane.

Chi colpisce e quali sono i segnali

La diagnosi è spesso tardiva, poiché i sintomi iniziali vengono confusi con stress, depressione o burnout. L’età media dei pazienti oscilla tra 50 e 60 anni, ma in forme rare e familiari può manifestarsi già intorno ai 40.

Segnali da non sottovalutare:

  • ripetizione di domande, difficoltà a ricordare eventi recenti;

  • perdita del filo del discorso, difficoltà a trovare le parole;

  • confusione su tempo e spazio;

  • difficoltà di ragionamento e perdita di concentrazione;

  • apatia, irritabilità, comportamenti inusuali;

  • problemi nelle attività quotidiane, come vestirsi o usare oggetti comuni.

Fattori di rischio

Non esistono cause certe, ma una combinazione di fattori genetici, ambientali e di stile di vita può aumentare il rischio:

  • Predisposizione genetica (in particolare nelle forme familiari di Alzheimer);

  • Ipertensione, diabete, alcolismo, sedentarietà;

  • Depressione, isolamento sociale, scarsa stimolazione cognitiva.

Tuttavia, è possibile che anche chi conduce una vita sana venga colpito, e viceversa.

Diagnosi: un percorso complesso

Diagnosticare una demenza precoce richiede esami approfonditi, spesso con ritardi anche di 5 anni rispetto ai pazienti anziani:

  • Valutazione neuropsicologica (test di memoria, attenzione, linguaggio)

  • Risonanza magnetica o TAC cerebrale

  • Analisi del sangue

  • Puntura lombare, per rilevare i biomarcatori dell’Alzheimer

  • Test genetici, in caso di sospetto di forme ereditarie

Trattamenti disponibili

Non esiste una cura definitiva, ma è possibile alleviare i sintomi e rallentare la progressione della malattia.

Trattamenti farmacologici:

  • Inibitori della colinesterasi (donepezil, rivastigmina) per migliorare memoria e comunicazione tra neuroni;

  • Memantina, che regola l’attività del glutammato;

  • Antidepressivi o ansiolitici, solo quando strettamente necessari;

  • In casi selezionati, neurolettici atipici per gestire comportamenti aggressivi o allucinazioni.

Approcci non farmacologici:

  • Attività fisica adattata (camminate, yoga, nuoto) per ridurre ansia e mantenere l’indipendenza;

  • Terapia occupazionale, per supportare l’autonomia nei gesti quotidiani;

  • Terapie creative (musica, arte, musei) per stimolare emozioni e memoria;

  • Stimolazione cognitiva con esercizi, giochi, laboratori;

  • Psicoeducazione per pazienti e familiari, per imparare a convivere con la malattia;

  • Sostegno psicologico e terapia familiare, fondamentali per la qualità della vita di tutto il nucleo familiare.

Prospettive di vita

L’aspettativa di vita varia a seconda della forma della malattia e della qualità dell’assistenza. Una diagnosi precoce, supporto familiare e stimolazione continua possono prolungare l’autonomia e migliorare le condizioni di vita. Al contrario, la presenza di comorbidità (diabete, malattie cardiovascolari) può accelerare il declino.

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