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La scoperta
26 Maggio 2025 - 19:00
Il cuore batte, e potrebbe già raccontarci il futuro della nostra mente. Un nuovo studio internazionale ha scoperto che alcune caratteristiche del ritmo cardiaco sono associate al declino cognitivo, indicando che proprio dal battito si potrebbero individuare i primi segnali dell’Alzheimer, ben prima della comparsa dei sintomi evidenti.
Il protagonista di questa scoperta è un parametro noto come complexity of pulse rate, ovvero la variabilità della frequenza cardiaca (HRV). Apparentemente regolare, il battito del cuore in realtà varia in risposta agli stimoli interni ed esterni. E più è variabile, più indica un organismo in equilibrio. Al contrario, una bassa HRV è segnale di un cuore meno reattivo, meno sano. Ora, grazie a un lavoro coordinato dal professor Peng Li dell’Ospedale Generale del Massachusetts e del Brigham and Women’s Hospital di Boston, si scopre che questa variabilità ha legami profondi con la salute del cervello.
Gli scienziati hanno seguito oltre 500 persone – età media 82 anni – per un periodo di 4,5 anni, monitorando ogni notte il ritmo cardiaco con pulsossimetri e valutando annualmente le capacità cognitive con test standardizzati. I risultati parlano chiaro: chi presentava una maggiore “entropia” del battito, cioè una HRV più complessa, manteneva più a lungo la lucidità mentale. Al contrario, una scarsa variabilità era associata a un declino più rapido e a un rischio potenziale di demenza.
La scoperta, pubblicata sul Journal of the American Heart Association, coinvolge ricercatori di Stati Uniti, Canada e Cile, tra cui anche il Centro per la malattia di Alzheimer della Rush University e il BrainLat di Santiago. Gli studiosi hanno spiegato che il cuore, nel suo continuo adattarsi, riflette lo stato del sistema nervoso autonomo, lo stesso che regola anche molti processi cognitivi. “Il nostro cuore – ha dichiarato il professor Li – deve trovare un equilibrio tra spontaneità e adattabilità. La complessità del ritmo cardiaco è una firma della salute globale”.
Il legame tra HRV e cognizione potrebbe rivoluzionare il modo in cui si affrontano le malattie neurodegenerative. Gli attuali trattamenti più promettenti, come gli anticorpi monoclonali Donanemab e Lecanemab, funzionano solo se somministrati nelle fasi iniziali. Per questo individuare per tempo i segnali “invisibili” diventa cruciale.
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