Cerca

Economia

L’Italia che vende (bene): il made in Italy è molto più di moda e cibo

Dalla farmaceutica alla meccanica, passando per i mercati ASEAN: ecco perché l’export italiano tiene duro anche in mezzo a crisi e inflazione

L’Italia che vende (bene): il made in Italy è molto più di moda e cibo

L’Italia esporta, eccome. Solo che ce ne dimentichiamo. Presi com’eravamo da guerre, tassi, elezioni, rincari e spettri di recessione, nessuno si è accorto che il 2024 si è chiuso con oltre 623 miliardi di euro di export. Dato stabile rispetto all’anno prima, ma non per questo banale. Anzi, tenere botta in mezzo a un’Europa stanca, una Germania ansimante e un mondo che gira più piano, è tutto tranne che scontato.

E invece le imprese italiane, soprattutto quelle che hanno saputo innovare dopo la botta del 2008, non solo sono sopravvissute. Alcune sono cresciute, hanno conquistato mercati, si sono infilate nelle filiere globali. Silenziosamente. Perché il made in Italy, quello vero, non fa rumore. Lavora.

Non solo moda e cibo: il primato (insospettabile) della farmaceutica

C’è un dato che spiazza i nostalgici del “sole, cuore e mandolino”: il primo settore per valore di export è la farmaceutica, seguita da macchinari industriali e componentistica. Solo dopo arrivano moda e alimentare. Il che non significa che il lusso non tenga – anzi, regge anche sotto i bombardamenti geopolitici – ma che l’Italia esporta cervelli, tecnologia e manifattura avanzata più di quanto raccontiamo.

Un’altra sorpresa? L’automotive, che cresce grazie alla subfornitura. Quella fatta di piccole e medie imprese che producono il pezzo giusto al momento giusto. Dietro ogni auto tedesca, spesso, c’è un pezzo d’Italia.

Europa regina, ma l’Asia chiama

Oltre il 66% dell’export italiano resta in Europa, con la Germania sempre prima destinazione, seguita da Francia, Spagna, ma crescono anche mercati come Polonia e Romania, mete mai sexy ma sempre più centrali.

Fuori dai confini UE, è l’America del Nord a fare la parte del leone (11,4%, USA in testa). Seguono Asia orientale, Medio Oriente e, molto più indietro, l’America Latina.

Ma il dato da cerchiare in rosso è quello dell’ASEAN, il blocco dei paesi asiatici emergenti: +39,9%. Vietnam, Malesia, Indonesia sono le nuove frontiere del made in Italy, soprattutto per moda, energia e beni di consumo. Altro che vecchio continente.

Il saldo resta positivo: 7,8 miliardi di euro a dicembre, secondo Istat. Meno dell’anno prima, ma sempre in attivo. E questa è una buona notizia, soprattutto in un mondo dove vendere è difficile e comprare costa.

Attenzione, però: non tutti i numeri brillano. Calano le esportazioni verso Cina (-6%) e USA (-3,7%). I beni strumentali e i durevoli segnano il passo (-7,5% e -9,4%). Segnali che qualcosa si sta spostando e che non possiamo dare nulla per garantito.

La verità è che l’Italia esporta più di quanto immaginiamo. Ma non lo sa raccontare. Né a se stessa, né all’estero. E questo è un problema. Perché il brand Italia funziona, ma ha bisogno di una visione. Di una politica industriale. Di investimenti seri. E di giovani che non scappino, ma vengano messi nelle condizioni di restare.

E invece no: si discute di pensioni e condoni. Di spot e slogan. Mentre l’industria vera, quella che ogni giorno crea valore, cresce nel silenzio generale. E rischia di farlo senza ricambio, senza manodopera, senza prospettiva.

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Logo Federazione Italiana Liberi Editori L'associazione aderisce all'Istituto dell'Autodisciplina Pubblicitaria - IAP vincolando tutti i suoi Associati al rispetto del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale e delle decisioni del Giurì e de Comitato di Controllo.