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29 Maggio 2025 - 06:00
Il 1953 è un anno spartiacque. Il mondo era ancora in fase di ricostruzione post-bellica, il Regno Unito cercava nuove glorie mentre il suo impero si dissolveva, e la Guerra Fredda accelerava ogni sfida, anche sportiva. In questo contesto, Hillary – un apicoltore della Nuova Zelanda – e Norgay – uno sherpa nepalese con già diversi tentativi alle spalle – riuscirono laddove altri erano falliti o morti. Non furono i primi a provarci, ma furono i primi ad arrivare. E a tornare.
La loro impresa segnò la fine di un’epoca fatta di esplorazioni pionieristiche e l’inizio di un nuovo mito: quello della montagna invincibile, ma ora scalabile. E di una relazione, quella tra alpinismo e politica, destinata a rafforzarsi.
Nel 2025, scalare l’Everest è ancora un’impresa. Ma non più un’eccezione. Solo nel 2024, secondo i dati del Dipartimento del Turismo del Nepal, oltre 1.200 persone hanno raggiunto la vetta. Un numero record, accompagnato da 17 vittime e centinaia di evacuazioni per mal di montagna, congelamenti e affollamenti pericolosi in quota.
Il motivo? Un mix di turismo d’élite e business organizzato: le spedizioni commerciali, che promettono "Everest per tutti", possono costare dai 40.000 agli oltre 100.000 euro. E portano con sé cuochi, guide, bombole d’ossigeno e fotografi. Non tutti sono alpinisti esperti: molti sono semplici appassionati benestanti alla ricerca di un trofeo social.
L’Everest non è solo una vetta: è un ecosistema fragile, spiritualmente venerato dalle popolazioni locali. Negli ultimi anni, però, è diventato anche una discarica a cielo aperto: bombole vuote, tende abbandonate, rifiuti umani. Le autorità nepalesi hanno introdotto una cauzione-eco (4.000 dollari restituibili solo a chi scende con la propria spazzatura), ma il problema persiste.
A pagare il prezzo più alto sono sempre gli sherpa, veri eroi silenziosi dell’altissima quota. Ogni anno, decine di loro rischiano – e spesso perdono – la vita per permettere ad altri di "conquistare" la vetta. Il loro lavoro resta tra i più pericolosi al mondo, malgrado le crescenti richieste di riconoscimento e diritti sindacali.
Nel 2025, l’Everest è una montagna diversa da quella che Hillary e Norgay hanno scalato. Più affollata, più sfruttata, più mediatica. Ma anche più accessibile e democratica, almeno in apparenza. Resta il fascino ancestrale del superamento dei limiti umani, resta la sfida fisica e mentale. Ma resta anche la domanda: ha ancora senso "conquistare" qualcosa che dovrebbe insegnarci umiltà?
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