Una cena tra amici ha aperto uno squarcio inquietante sul futuro del lavoro: un programmatore raccontava come l’azienda per cui lavora abbia preferito sostituire l’assistente junior che aveva chiesto con un’intelligenza artificiale pagando un abbonamento da 500 euro al mese a un software specializzato nella programmazione. Non è un caso isolato, ma un segnale di un fenomeno in crescita che preoccupa esperti e lavoratori.
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Negli Stati Uniti, ad esempio, il tasso di disoccupazione tra i neolaureati è ai massimi degli ultimi quarant’anni, un fenomeno noto come “New grad gap”. La crisi non sembra solo un effetto della pandemia o di un minor valore della laurea, ma anche una conseguenza diretta dell’adozione sempre più ampia di AI generativa. In pratica, pochi neolaureati dotati di strumenti come ChatGPT possono svolgere il lavoro di molti, alzando così la barriera d’ingresso nel mercato del lavoro.
Non sono solo i giovani a essere colpiti: aziende come Duolingo hanno già licenziato centinaia di dipendenti sostituendoli con AI, mentre gruppi editoriali impiegano un singolo “AI editor” per produrre centinaia di articoli a settimana, riducendo drasticamente il personale umano.
Contrariamente alle aspettative, l’intelligenza artificiale sta automatizzando soprattutto lavori del terziario avanzato, non quelli manuali, e lo fa spesso per ridurre i costi piuttosto che per migliorare la qualità. Anche la figura del “prompt engineer”, specialista nel gestire AI come ChatGPT, sta perdendo rapidamente terreno perché l’uso di questi strumenti sta diventando sempre più intuitivo e diffuso.
Non mancano però segnali incoraggianti: Klarna, dopo aver licenziato 700 persone in nome dell’automazione, ha iniziato a riassumere personale umano per migliorare la qualità del servizio clienti. Anche i contenuti prodotti da AI, come nel caso di Duolingo, spesso si rivelano noiosi o imprecisi, evidenziando i limiti attuali di questi sistemi.
Molte aziende che hanno adottato AI generativa non sono soddisfatte dei risultati: solo un quinto dichiara un ritorno sull’investimento positivo, mentre la maggioranza giudica insoddisfacente l’impatto. Inoltre, i lavoratori spesso percepiscono l’AI più come un ostacolo che come un aiuto.
Questa situazione, se da un lato conferma che l’AI non può ancora sostituire completamente il lavoro umano, dall’altro fa aumentare il divario per chi non può permettersi una formazione costosa per accedere a posizioni qualificate. Il rischio è che la “gavetta” scompaia solo per chi ha mezzi e risorse, accentuando le disuguaglianze sociali.
In questo scenario, resta la speranza che il progresso dell’intelligenza artificiale rallenti e che la politica inizi finalmente a intervenire su un problema destinato a diventare una vera emergenza sociale.