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Spettacolo & Commenti

TV, dalla Rai alla Fagnani: perché questa mania di rispolverare nefandezze?

Quando la notorietà è spacciata per giornalismo d'inchiesta

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Francesca Fagnani

Certe notti…

La televisione è uno strumento molto potente. L'aveva capito molto bene qualcuno che (anche) grazie alla proprietà di alcune reti ha tenuto il boccino in mano per circa trenta anni.

Purtroppo, chi è chiamato alla selezione dei contenuti, a volte, sembra aver smarrito ciò che viene chiamato buon senso, opportunità, basterebbe questo senza scomodare la saggezza (quest'ultima ormai così rara da meritare un'asta da Christie's).

La giornalista Francesca Fagnani, conduttrice di un programma andato in rete già da un paio di stagioni, non paga del risultato ottenuto (l'audience c'è stata… e già questa è una notizia) con ospiti fatti accomodare su uno sgabello, come lei, seduta innanzi con il suo bravo quadernetto d'appunti dal quale estrae le domande, con vario indice di scomodità (delle domande, non degli sgabelli), sta per tornare, in prima serata, da metà giugno, con una versione “crime” della sua trasmissione.

In questa nuova edizione, alla stregua di uno champagne millesimato, o “capsule” per mutuare un termine caro al mondo della moda col quale si intende una versione “dedicata” di un certo brand, intervisterà protagonisti dei fatti di cronaca nera più discussi. Fra i primi ospiti il Sig. Bossetti, condannato per la morte di un'adolescente (Chiara Gambirasio) e che si è sempre proclamato innocente, e c'è da scommetterci magari il neo liberato dalle patrie galere, tal Brusca.

Giornalismo. “L'intervista la fa l'ospite”, ed è vero, nello zapping compulsivo se intravedo sullo sgabello uno/a che conosco mi fermo, inevitabilmente, per sentire cosa ha da dire.

Detta così, è una festa. Programma a costo pressoché zero, location scarna, scena quasi a fuoco fisso, salvo innocui primi piani e una telecamera a carrello governata dalla regia. In televisione la validità di un programma si valuta in base a quanta audience è in grado di suscitare. È questo il parametro che fa i prezzi per la vendita degli spazi pubblicitari, e molto importa se si attira audience.

Si potrebbe obiettare, beh? Anche Truman Capote non ha dato alle stampe un libro che ne ha decretato il successo come scrittore di fama, proprio raccontando un efferato fatto di cronaca nera che sconvolse l'America? (“A sangue freddo”). Se non fosse che un libro devo fare “la fatica” di andarlo a cercare, una rete che si picca di definirsi servizio pubblico, il programma te lo piazza lì, sotto gli occhi, lasciandoti libero di cambiare canale è vero e ci mancherebbe…magari il prossimo step diventa una riedizione della “cura Alex”, indimenticata tortura a mezzo della quale si tenta di rieducare il protagonista di Arancia Meccanica: un arnese applicato sugli occhi che impedisce la chiusura delle palpebre, costringendo in un crescendo dal vago sapore omeopatico, l'Alex di turno a vedere scene su scene di violenza tanto gratuita quanto inaudita, per giorni, settimane, mesi, sperando che alla fine, nauseato, guarisca).

Forse che la Rai in codesto modo abbia in animo di solleticare lo stesso meccanismo? Ha un senso tornare ancora e ancora, come sta succedendo proprio in queste settimane intorno ad un altro delitto “celebre” (quello di Garlasco) a sdoganare dall'oblio dove la pietà e l'orrore, a braccetto, li hanno con il tempo confinati, fatti, personaggi, storie, via, tutto nel calderone e delle quali è piuttosto credibile immaginare non importi granché a nessuno.

Una vera e propria smania del ricordo, a partire dalla pletora di ex magistrati riscopertisi scrittori (grazie “al lavoro portato a casa”) che hanno sentito il bisogno di ripescare dal dimenticatoio della storia, vicende di bande di malavita organizzata, finendo con il mitizzare gli autori di imprese non proprio commendevoli.

Ora è il turno della Fagnani (peraltro autrice, restando in tema, di un indispensabile volume “Mala: Roma Criminale” si sa mai dovessimo dimenticare qualcosa). Nulla di personale, ma davvero è legittimo pensare che ormai tutto fa brodo (audience) e sti cazzi se per un malinteso effetto emulativo ci ritroviamo a dover patire fatti di cronaca a manetta ad opera di individui che probabilmente, non avendo alle spalle robuste letture, o percorsi di studio in qualche prestigiosa università statunitense, facile che, al di là delle intenzioni degli autori, interpretino questo profluvio di amarcord criminali come una sorta di lasciapassare, tentando ove possibile di calcarne il passo.

Quest'aurea di notorietà spacciata per un giornalismo che d'inchiesta ha ben poco, salvo riproporci (come si dice dei peperoni a Roma) delle storie “crime” sol perché fa innalzare i fatturati di chi li commissiona. Eh si, anche quelli di chi già gode di quelli derivati dal canone, essendo “Pubblico”, e che non sarebbe male se si dedicasse a cose, faccende, contenuti leggermente più edificanti.
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