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Cinema e TV
07 Giugno 2025 - 10:00
Nonostante un pedigree d'autore, una produzione internazionale e una cornice artistica rara quanto ambiziosa, Étoile si ferma alla prima stagione. Prime Video ha deciso di non proseguire con una seconda stagione della serie creata da Amy Sherman-Palladino e Daniel Palladino, nonostante un iniziale ordine biennale.
Sì, proprio loro: i coniugi dietro il successo planetario di La Fantastica Signora Maisel, già autori del cult Una Mamma per Amica, e fautori di una narrazione brillante, femminile e sempre in equilibrio tra ironia e malinconia. Con Étoile, si erano spinti in un territorio apparentemente di nicchia: il mondo del balletto, ambientato tra New York e Parigi, con una narrazione transatlantica e una messa in scena sontuosa. Un progetto dichiaratamente personale per Sherman-Palladino, che da tempo coltiva una passione profonda per la danza classica.
Eppure, questa stella si è spenta prima ancora di brillare davvero.
La notizia è arrivata in sordina, senza grandi proclami né spiegazioni ufficiali, se non un generico “rapporto tra costi e performance”. E qui si apre la riflessione: quando una serie firmata da autori affermati, girata tra due capitali culturali mondiali, con un cast internazionale e una direzione artistica raffinata viene interrotta in silenzio, il problema non è solo “quanto costa”. È anche e soprattutto cosa si vuole raccontare, e a chi.
Il balletto, si sa, non è per tutti. Ma dev’essere davvero questo il criterio dominante di una piattaforma globale? Se l’arte non ha un algoritmo favorevole, merita di essere archiviata dopo otto episodi?
Étoile ha debuttato in modalità binge (scelta anomala per Prime Video) il 24 aprile. Nessuna scalata nelle classifiche Nielsen, una rapida scomparsa dalla Top 10 della piattaforma, superata in breve da serie più “muscolari” come Reacher. Eppure, Étoile era diversa. Non solo perché costruiva da zero una compagnia di danza con veri ballerini internazionali. Non solo perché girava in location reali, tra teatri storici e scorci parigini mozzafiato. Ma perché cercava di dire qualcosa di più: che la bellezza, l’eleganza, l’impegno fisico e creativo del balletto meritano uno spazio narrativo, non solo di repertorio.
La cancellazione di Étoile non è un caso isolato, ma l’ennesimo segnale di una tendenza preoccupante nelle logiche produttive delle piattaforme streaming: si ordina una serie con entusiasmo, si investe in nomi di richiamo, si spinge tutto su una stagione… e poi si taglia senza appello, anche se erano previste più stagioni fin dall'inizio.
Il tempo dell’“esperimento” è finito: o funziona subito, o si scarta. Poco importa se la serie ha potenziale di crescita, se è pensata per svilupparsi nel tempo, o se ha semplicemente bisogno di trovare il suo pubblico. È una corsa al successo istantaneo che tratta le storie come prodotti usa-e-getta, con scarsa fiducia nel lavoro degli autori e ancora meno rispetto per gli spettatori.
Certo, Étoile non ha replicato l’effetto Maisel. L’accoglienza della critica è stata buona (85% su Rotten Tomatoes), ma non eclatante. Il pubblico generalista forse non si è sentito chiamato in causa. Ma in tempi in cui si invoca il sostegno alle arti, specie dopo gli anni bui della pandemia, la scelta di Prime Video suona stonata. Più ancora della cancellazione, colpisce il messaggio implicito: l’arte alta può esistere solo se genera engagement, clic e trending topic. Altrimenti non vale l’investimento.
Un segnale inquietante, specie in un’industria che si fregia di sostenere la creatività.
E allora, adieu Étoile, sì. Ma il problema resta nostro: cosa ci aspettiamo oggi da una serie TV? E cosa siamo disposti a perdere per colpa della nostra distrazione?
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