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18 Giugno 2025 - 23:40
Poco dopo le 19 di lunedì 29 aprile, Colleen Begg, ecologista e fondatrice del Centro Mariri, riceve un messaggio mentre cena con la famiglia: la sua base nel cuore della riserva di Niassa, in Mozambico, è stata attaccata. Armati, mascherati, i terroristi dello Stato Islamico – conosciuto localmente come ISIS-M – hanno fatto irruzione nel campo sparando e gridando “Allah Akbar”. È solo l’ultimo e più grave episodio di una crisi che minaccia di distruggere vent’anni di lavoro di conservazione ambientale e di sviluppo comunitario.
L’assalto a Mariri arriva dopo una serie di incursioni nei villaggi a ridosso della riserva. Il 19 aprile, il campo di Kambako era stato già saccheggiato e dato alle fiamme. Poi la violenza si è spostata al di là del fiume Lugenda. I militanti hanno colpito con ferocia: due falignami decapitati, il campo devastato. Quando hanno raggiunto Mariri, dodici ranger anti-bracconaggio si sono dispersi nella boscaglia, ma sei soldati dell’esercito e due esploratori non ce l’hanno fatta.
Oggi metà della riserva è sotto controllo militare e la presenza turistica si è praticamente azzerata. Nove campi di conservazione e 22 postazioni esplorative sono abbandonati. I Paesi occidentali hanno emesso allerte per i viaggiatori, che ora cominciano a scarseggiare. Con loro, se ne vanno anche i fondi che sostenevano intere comunità. Niassa, infatti, è molto più di una riserva naturale: è un modello di convivenza tra esseri umani e fauna, unico nel suo genere. Grande quanto la Svizzera, ospita circa 70.000 persone distribuite in 47 villaggi. È casa per alcune delle ultime grandi popolazioni di leoni, elefanti, licaoni e uccelli indicatori in Africa. Qui, la conservazione è sempre stata un patto tra la natura e le persone che la abitano.
L’insurrezione islamica in Mozambico, iniziata nel 2017, aveva già raggiunto Niassa nel 2021 con attacchi simbolici. Ma quest’anno, con la ripresa delle offensive, il gruppo ha dimostrato una preoccupante capacità di adattamento strategico.
Diversi gruppi internazionali di conservazione si stanno mobilitando, ma il rischio è che la crisi umanitaria ed ecologica peggiori ancora.
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