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Sicurezza ambientale
23 Giugno 2025 - 18:05
Per anni abbiamo creduto che il Mar Mediterraneo fosse una sorta di rifugio naturale, protetto dalla sua conformazione chiusa e dall’assenza delle grandi faglie oceaniche. Ma questa convinzione sta per essere messa in discussione. Secondo quanto riportato dalla Commissione oceanografica intergovernativa dell’UNESCO, entro i prossimi trenta anni un tsunami potrebbe colpire una zona precisa del bacino, con onde superiori a un metro d’altezza. Il rischio, dunque, non è più ipotetico, ma concreto e documentato.
Nonostante la sua fama di “mare tranquillo”, il Mediterraneo ha già registrato un centinaio di tsunami dall’inizio del Novecento, pari a circa il 10% degli eventi globali. Non sono numeri trascurabili, e mostrano un quadro ben più complesso di quello percepito dall’opinione pubblica.
L’area più sorvegliata è il Mar di Alboran, tra Spagna e Nord Africa, dove si trova la faglia di Averroè. Qui le placche tettoniche scorrono lateralmente, accumulando tensioni che, se rilasciate improvvisamente, potrebbero generare un terremoto sottomarino in grado di sollevare onde alte fino a sei metri. A preoccupare è anche la tempistica: in caso di sisma, le coste andaluse potrebbero essere raggiunte in appena 21 minuti. Se l’epicentro fosse più a sud, verso l’Algeria, l’arrivo delle onde impiegherebbe comunque solo un’ora e un quarto.
L’altezza delle onde, secondo gli esperti del CENALT francese, dovrebbe rimanere sotto i due metri: nulla a che vedere con i drammatici scenari visti in Giappone o in Cile, ma comunque sufficiente a mettere in pericolo abitazioni costiere, porti e strutture turistiche. Per tenere sotto controllo questi fenomeni, è attivo un sistema internazionale di allerta basato su boe e sensori capaci di rilevare minime variazioni nei livelli marini e trasmettere segnali in tempo reale. Ma resta un fatto: le finestre di evacuazione sono strettissime, e solo una diffusa cultura del rischio può fare la differenza tra il salvataggio e la tragedia.
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