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serie tv
06 Luglio 2025 - 20:20
Da Friends a Gilmore Girls, da Sex and the City a The Office, passando per Buffy – L’ammazzavampiri e persino Dawson’s Creek: la Gen Z sta riscoprendo in massa le serie cult degli anni ’90 e 2000. Una tendenza evidente non solo nel numero di rewatch sulle piattaforme, ma soprattutto sui social, dove hashtag come #lofiandtv o #thatgirlrewatch accompagnano clip vintage trasformate in piccoli rituali di benessere digitale.
Le motivazioni? Una miscela curiosa di fascino per un mondo più lento – senza smartphone, social e notifiche – e un bisogno crescente di comfort narrativo. In un presente caotico, rivivere storie già viste, con personaggi e trame familiari, offre sicurezza, sollievo, e, a quanto pare, anche benefici psicologici.
Secondo diversi studi, riguardare serie amate riduce i livelli di ansia, abbassa lo stress e fornisce al cervello una preziosa sensazione di controllo. È una sorta di “coperta di Linus” visiva, che consola anche chi conosce già ogni battuta a memoria.
E non fa bene solo ai giovani: anche i millennials – notoriamente iperanalitici e stanchi di dover scegliere cosa guardare ogni sera – trovano nel rewatch una forma legittima di sopravvivenza mentale. Sappiamo già chi si lascia, chi muore, chi cade in depressione davanti a un brownie: e questa prevedibilità, oggi, è una benedizione.
Il risultato? Un inedito terreno comune tra generazioni che, fino a poco tempo fa, si guardavano in cagnesco. Laddove prima c’erano emoji incomprensibili e silenzi imbarazzati, ora si citano Monica e Chandler, si analizza Scrubs come un caso clinico, si empatizza con Lorelai Gilmore e si piange ancora per la morte (spoiler!) in Six Feet Under.
Un dialogo silenzioso, mediato dallo streaming e da un algoritmo che, per una volta, unisce invece di dividere. Perché se è vero che i pantaloni cargo e la quantità di emoji per frase ci separano, è altrettanto vero che le risate registrate in sottofondo e i momenti catartici in VHS ci riavvicinano.
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