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Saluzzo sfida il caporalato: agricoltura di comunità e nuovi modelli etici contro lo sfruttamento

Nel secondo distretto frutticolo d’Italia si sperimentano soluzioni concrete per tutelare i braccianti e ricostruire il legame tra produzione agricola

Saluzzo sfida il caporalato: agricoltura di comunità e nuovi modelli etici contro lo sfruttamento

Nel cuore del Piemonte, a pochi chilometri da Cuneo, il distretto della frutta di Saluzzo sta vivendo una lenta ma decisa trasformazione. Per anni sinonimo di sfruttamento, caporalato e braccianti costretti a vivere in baraccopoli improvvisate, oggi questo territorio è diventato un laboratorio di esperienze alternative che intrecciano giustizia sociale, sostenibilità ambientale e nuova cultura agricola.

Il cambiamento è frutto dell’impegno congiunto di enti pubblici, realtà sociali e aziende agricole che hanno deciso di prendere posizione contro un sistema economico dominato dalla logica al ribasso della grande distribuzione organizzata. È qui che ha trovato spazio un nuovo modo di fare impresa agricola, capace di unire qualità del prodotto e rispetto per i diritti dei lavoratori. Tra le esperienze simbolo di questo cambiamento c’è Braccia Rese, società agricola fondata da Livio Craveri insieme a due amici, che produce vino e sidro partendo da varietà autoctone e frutta locale. Attraverso il progetto “Errante”, l’azienda devolve parte degli introiti al sostegno dei braccianti stranieri del territorio, contribuendo all’acquisto di materiali essenziali come scarpe antinfortunistiche. L’agricoltura, per loro, è un gesto politico e comunitario, non un mezzo di sfruttamento.

Il contesto però resta complesso. Con oltre 14mila lavoratori stagionali ogni anno, per la maggior parte giovani provenienti dall’Africa subsahariana, Saluzzo ha vissuto negli ultimi anni gravi emergenze sociali. Le condizioni di vita dei braccianti sono state spesso segnate dalla mancanza di alloggi dignitosi, dal lavoro grigio e dalla presenza di intermediari senza scrupoli. La sentenza del 2022, che ha condannato tre persone per caporalato nella zona, ha segnato un punto di svolta, ma non una soluzione definitiva.

Un passo importante è stato fatto con la nascita del “modello Saluzzo”, frutto di una collaborazione tra comuni del distretto, associazioni come la Caritas locale (attraverso il progetto Saluzzo migrante) e realtà come Mediterranean Hope, che ha avviato nuovi spazi abitativi per i lavoratori agricoli e promosso la vendita solidale con il marchio Etika. La loro missione comune è chiara: ridare senso all’abitare e al coltivare, contrastando lo spopolamento e la marginalizzazione delle valli montane.
Saluzzo, da terreno fertile per il caporalato a terreno fertile per nuove pratiche agricole, oggi si interroga su quale futuro vuole costruire. 

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