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il lutto

Addio al giornalista Ernesto Marenco
«Ciao Esto, ci hai insegnato tutto»

Aveva 90 anni ed era stato a lungo alla Gazzetta del Popolo. Il ricordo di Beppe Fossati

Addio al giornalista Ernesto Marenco«Ciao Esto, ci hai insegnato tutto»

Ernesto Marenco

La sera di lunedì 7 luglio, all’età di 90 anni si è spento Ernesto Marenco, Esto per gli amici e i giornalisti che hanno avuto l’onore di lavorare con lui. Un maestro. L’ho incontrato per la prima volta nel 1971. Ero un ragazzo, raccoglievo i numeri dei promossi e dei bocciati alla maturità e poi, all’ora di pranzo, li portavo alla Gazzetta del Popolo. In cronaca, appena aprivi la porta di legno scuro, c’era la sua scrivania. Quel giorno era vestito d’azzurro. Alto, elegante. Ricordo le sue prime parole: «Ciao, se hai i dati, puoi scriverli. Sai come si fa?». Ero impacciato, e si capiva. E lui si mise accanto a me, indicandomi la macchina per scrivere. Un’Olivetti grigia, già vecchiotta. Senza di lui, forse, non avrei mai fatto questo mestiere. E adesso fatico a scrivere, rivivendo quella mattina di un luglio avanzato.
Ci mancherai Esto. Come ci mancherà il tuo garbo e la tua esperienza. Tu che sei stato per decenni una delle figure più importanti nella storia del giornalismo subalpino. Prima alla Gazzetta, poi a Stampa Sera e infine alla Stampa quando finì l’era dei quotidiani del pomeriggio. Grande giornalista, ma non solo. Uno dei protagonisti uno dei momenti più alti delle battaglie per la libertà di stampa e il pluralismo dell'informazione nella storia dell'Italia repubblicana: quello dell'autogestione della Gazzetta del Popolo, come ha scritto proprio oggi un altro collega dei bei tempi, Ettore Boffano, ricordando come nel 1974, per 14 mesi la cooperativa dei lavoratori del giornale e i sindacati dei giornalisti e dei poligrafici lo mandarono in edicola salvando uno dei più antichi quotidiani italiani. Assicurando così a Torino e al Piemonte “l'altra voce” e impedendo il monopolio informativo de La Stampa, il giornale degli Agnelli e della Fiat.
Furono mesi difficili, ma imparammo un po’ tutti, giornalisti, impiegati e poligrafici che non si rischiava di perdere il lavoro solo in fabbrica. Scoprimmo che si poteva raccogliere la pubblicità e anche vendere il giornale in strada.
Un’esperienza straordinaria che, anche grazie alla guida di Esto ha offerto al giornalismo italiano firme e talenti che hanno continuato a mantenere vivo il ricordo di quella Gazzetta.
Esto era figlio d'arte: suo padre Roberto era stato giornalista all'Eiar e poi a lungo corrispondente di economia da Torino per il Sole. E il suo ricordo è soprattutto legato a quel giornalismo di curiosità, di mocassini da consumare sui marciapiedi dove crescono le notizie, di taccuini vergati a volte con le mani che tremavano. E non solo nei tempi oscuri del terrorismo.
Il giornalismo degli articoli curati, letti e riletti, del lavoro pignolo nella confezione dei titoli, della fotografie da scegliere e, spesso da ritagliare, per aumentarne il valore scenico di un’immagine. Una scuola che si dovrebbe recuperare specie per le nuove frettolose generazioni.

Ciao Esto, soffro per non averti potuto salutare mentre combattevi l’ultima battaglia al Gradenigo. Ma avremo modo, tempo, di riparlarne lassù

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