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otto anni dopo

Nel buio e nella luce, la voce che urlava anche per noi, otto anni dopo la scomparsa di Chester Bennington

Dalla sofferenza alla musica, dalla rabbia alla redenzione: il viaggio di un uomo che ha cantato il dolore di molti

Nel buio e nella luce, la voce che urlava anche per noi, 8 anni dopo la scomparsa di Chester Bennington

C’era una volta un ragazzo che trasformò il dolore in musica, e la musica in salvezza. Otto anni fa, il 20 luglio 2017, Chester Bennington lasciava questo mondo, ma non le sue parole, né quella voce che sembrava cantare per chi non riusciva a farsi sentire.

Chester non è stato solo il frontman dei Linkin Park. È stato il volto e il suono di una generazione confusa, arrabbiata, in cerca di comprensione. La sua voce non accarezzava — graffiava, esplodeva, si faceva largo tra rabbia e fragilità. Era una voce che portava addosso le cicatrici della vita, ma che riusciva a renderle poesia.

Tutto comincia a Phoenix, in Arizona. È il 20 marzo 1976 quando Chester Charles Bennington viene al mondo. Ma la sua infanzia non ha nulla di semplice o sereno. Tra i sette e i tredici anni, subisce abusi sessuali da parte di un ragazzo più grande. Un dolore taciuto, trattenuto, che diventa un peso insostenibile. A quell’età, quando dovrebbe conoscere solo spensieratezza, Chester conosce invece il terrore e la vergogna.

I suoi genitori si separano quando ha appena 11 anni. L’atmosfera in casa si carica di tensione, tristezza e silenzi troppo lunghi. Inizia allora a scivolare in un abisso: droga, alcol, isolamento. Giovanissimo, prova LSD, eroina, oppio. In un’intervista, anni dopo, ammetterà: “Volevo solo scomparire, o fare male a chiunque”. Era una fuga, o forse un grido che nessuno sapeva ascoltare.

Eppure, tra le crepe, Chester trova uno spiraglio: la musica. Prima i disegni, poi le poesie. E infine, le canzoni. La voce che aveva tenuto dentro per anni comincia a uscire, potente e sincera. Si ispira ai Depeche Mode, agli Stone Temple Pilots — destino beffardo, perché anni dopo sarebbe diventato proprio il frontman di quella band che aveva tanto ammirato da adolescente.

Negli anni ’90 canta nei Grey Daze, mentre lavora per mantenersi anche in un fast food. Sembra una storia come tante, finché nel 1998 arriva una possibilità che cambia tutto. Una band di Los Angeles cerca un cantante: si chiamano Xero. Chester registra un’audizione, la invia, e la sua voce cattura immediatamente l’attenzione.

Lascia il lavoro, prende un volo e arriva in California proprio il giorno del suo compleanno, deciso a non farsi sfuggire quell’occasione. Poco dopo, gli Xero cambiano nome: diventano i Linkin Park. E Chester diventa il cuore pulsante del gruppo.

La sua voce incarna tutto quello che i testi della band vogliono raccontare: alienazione, rabbia, depressione, speranza. In un mondo che spesso non ascolta chi soffre, Chester riesce a parlare per milioni di persone. Ogni urlo nei suoi brani è una liberazione collettiva. Ogni concerto, una catarsi.

Chester non ha mai nascosto i suoi demoni. Li ha messi in musica, li ha condivisi. Forse per questo la sua morte ha colpito così profondamente: perché in lui molti avevano trovato uno specchio. Otto anni dopo, la sua assenza brucia ancora, ma la sua voce continua a dare forza. È diventata memoria viva, resistenza emotiva, testimonianza.

E così oggi non celebriamo solo l’artista. Celebriamo l’uomo. Quello che ha lottato, che ha cercato di guarire, che ha trasformato il buio in una melodia. Chester Bennington non è scomparso: vive nelle note, nei ricordi, e in ogni persona che, grazie a lui, ha trovato il coraggio di non sentirsi sola.

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