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06 Agosto 2025 - 13:21
Un tempo bastava un album fotografico in salotto: oggi invece, il volto di un bambino può fare il giro del mondo in pochi secondi, grazie a una foto postata su Instagram o Facebook. Ma condividere online l'immagine del proprio figlio senza il consenso dell’altro genitore può trasformarsi in una questione legale. E sempre più spesso lo diventa.
Lo confermano i dati raccolti dalla sezione Atti persecutori del Racis dei Carabinieri: negli ultimi mesi sono in aumento le denunce presentate in contesti di separazioni conflittuali, in cui uno dei due genitori accusa l’altro di aver pubblicato foto del figlio sui social, senza autorizzazione.
La svolta è arrivata con una sentenza del Tribunale civile di Milano, che nel giugno 2025 ha ridefinito i confini della responsabilità genitoriale in ambito digitale. In una causa tra ex coniugi, il giudice ha stabilito che madre e padre devono vigilare sulla diffusione delle immagini del figlio. Nessuno dei due, quindi, può agire in autonomia, nemmeno in buona fede. La dignità e il decoro del minore vanno tutelati, e questo include la gestione della sua identità digitale.
Il fenomeno viene definito "sharenting", dall’unione dei termini inglesi sharing (condividere) e parenting (genitorialità). Indica la pratica diffusa di pubblicare abitualmente foto e video dei propri figli (a volte fin dalla prima ecografia) senza che questi possano esprimere un consenso. Il rischio di furto d'identità è alto, come è alta l'esposizione al cyberbullismo, all'adescamento e alle molestie digitali.
Il problema, però, è ancora sottovalutato: secondo uno studio dell’Università di Southampton, il 45% delle famiglie italiane non conosce il termine sharenting, né le sue implicazioni. Alla base, secondo gli esperti, c’è anche una dinamica psicologica e sociale: molti adulti cercano visibilità e approvazione attraverso la condivisione costante della vita familiare. Un comportamento che spesso precedei figli, più consapevoli e riservati dei propri genitori.
La Società Italiana di Pediatria, da anni attiva sul tema, ha diffuso cinque linee guida fondamentali per un uso consapevole dei social quando si tratta di minori:
non costruire un “dossier digitale” del proprio figlio: ogni contenuto condiviso rimane online ed entra a far parte della sua identità
evitare di pubblicare foto che mostrano nudità o situazioni intime
preferire l’anonimato e oscurare volti e nomi quando possibile
attivare notifiche e strumenti di monitoraggio per sapere quando il nome del figlio compare online
rispettare il diritto alla privacy del minore e il consenso dell’altro genitore, specialmente in situazioni di separazione.
Alla base, però, resta un bisogno urgente di educazione digitale e responsabilità condivisa. Perché la libertà di pubblicare ha senso solo quando va di pari passo con il rispetto dei diritti di chi, come i minori, non può ancora decidere per sé.
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