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sport in spiaggia
16 Agosto 2025 - 16:05
D’estate, nelle spiagge, il pallone si trasforma in strumento di socialità e sfida tecnica, rito quotidiano. Le regole sono mobili come la sabbia sotto i piedi: si gioca in due, in venti, con porte di secchielli, remi o montagnole di sabbia, e quando qualcuno urla “palla!” c’è sempre qualcuno che corre, senza bisogno di divise o convocazioni. Il calcio in spiaggia, nella sua forma più libera, non ha numeri certi. Solo il beach soccer – l’unica sua versione agonistica riconosciuta – conta circa 500 tesserati in Italia. Ma la vera squadra è quello invisibile, composta da migliaia di giocatori improvvisati, che ogni estate affollano battigie e campi improvvisati.
Ogni spiaggia ha le sue regole, tramandate come leggende orali. Su spiagge libere e stabilimenti, il calcio in spiaggia è perlopiù tollerato, salvo divieti specifici imposti da comuni o capitanerie. Sulla battigia si gioca più facilmente palla a terra, sulla sabbia asciutta invece dominano confusione e colpi spettacolari: rovesciate, tiri a effetto, stop improbabili con il petto.
A volte si gioca per tenerla alta, altre per segnare. Tra i giochi più popolari c’è la “tedesca”, conosciuta anche come “11”, “21”, “giocolone”, “al volo”. Si gioca con una sola porta e tutti contro tutti: si segna solo di prima intenzione, rigorosamente al volo, e ogni giocatore ha un proprio punteggio. Il portiere cambia in base all’esito del tiro, e il sistema di punteggio varia: gol di piede vale 1, di testa 2, di rovesciata anche 5 o 7. La regola non scritta più temuta? Il gol di spalla – o “spalletta” – che può azzerare il punteggio in un colpo solo. E poi c’è il mundialito, versione estrema e infantile del calcio da spiaggia: una sola porta, tanti giocatori, chi segna esce, chi resta ultimo viene eliminato. Un gioco che può durare ore, tra strategie furbe e regole inventate sul momento per rendere la partita “più giusta”.
Non mancano le evoluzioni moderne: il footvolley, nato a Rio e lanciato in Italia dalla Bobo Summer Cup di Christian Vieri, fonde calcio e pallavolo, con reti alte e tocchi eleganti. Il teqball, invece, è un ping pong giocato coi piedi su un tavolo curvo: è nato in Ungheria, ma si gioca ormai ovunque, anche con semplici tavolini da bar, e spesso viene chiamato testapong. C’è pure il calciotennis, da fare con o senza rete, sulla battigia o più indietro, quando si vuole un minimo di struttura in più.
E poi ci sono i tiri in acqua. Un portiere dentro il mare, i tiratori a riva, e la porta che non esiste se non nell’immaginazione collettiva. Le onde sono raccattapalle, il portiere nuota a riprendere il pallone, i tiri sono lenti ma fantasiosi: a giro, a rimbalzo sull’acqua, o schiacciati come nel tennis. È il gioco meno competitivo ma forse il più estivo, il più intimo. Ci si bagna, si ride, si sbaglia.
Nel mare di regole flessibili e gesti acrobatici, il calcio in spiaggia resta soprattutto un modo per stare insieme. Un rito estivo che non conosce età, un’arena dove si sfidano tecnica e sudore, amicizia e competizione, in partite che spesso non hanno un inizio chiaro né una vera fine. E dove anche Neymar e Gattuso hanno mosso i primi passi, uno sulle spiagge brasiliane di Praia Grande, l’altro su quelle calabresi di Schiavonea.
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