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Il film di Guadagnino presentato a Venezia è stato pensato per far nascere polemiche

Debutta "After the Hunt” e il pubblico si divide

Il film di Guadagnino presentato a Venezia è stato pensato per far nascere polemiche

Doveva essere il grande ritorno glamour di Julia Roberts, invece si è trasformato nel centro della prima vera polemica della Mostra del Cinema di Venezia. L’attrice, per la prima volta ospite al festival, ha presentato After the Hunt, il nuovo film di Luca Guadagnino, un thriller drammatico che mette in discussione molti dei pilastri ideologici del presente, a partire dal movimento #MeToo.
Ambientato nell’élite accademica americana, il film racconta la storia di Alma, docente di filosofia a Yale, alle prese con un'accusa di molestie sessuali che coinvolge un suo collega e amico (interpretato da Andrew Garfield) e una brillante ma ambigua studentessa (la talentuosa Ayo Edebiri, già nota per The Bear). La ragazza, giovane, nera, lesbica e molto attiva sui social, denuncia il professore, il quale viene subito allontanato. Ma la storia prende rapidamente una piega più complessa: bugie, dinamiche di potere e ferite mai sanate emergono con forza, fino a rovesciare i ruoli tradizionali tra carnefice e vittima.

Il cuore del film, e della sua controversia, è proprio qui: After the Hunt mette in discussione il principio – oggi dato per scontato – di credere sempre alle vittime. Guadagnino non cerca risposte, ma pone domande scomode: cosa succede quando una denuncia viene utilizzata come strumento di potere? Quali sono i confini tra verità e manipolazione in una società che vive costantemente sotto i riflettori dei social e dell’opinione pubblica?

Il film sembra voler far nascere di proposito delle polemiche. Non si schiera con il femminismo più militante, anzi lo mette sotto pressione, mostrando i limiti e le contraddizioni di un certo attivismo ideologico. In questa narrazione, è proprio il personaggio di Roberts – una donna adulta, bianca, intellettuale – a mettere in discussione l’onestà della giovane studentessa, arrivando a smontarne il talento e le motivazioni. Non è un caso che After the Hunt sia stato paragonato a TÁR, ma qui il conflitto generazionale è portato all’estremo. Il film critica la tendenza delle nuove generazioni a cercare spazi sicuri, a pretendere l’assenza di offesa, a usare le cause civili come etichette identitarie. Non si tratta di un attacco gratuito, quanto piuttosto di una provocazione ragionata sul modo in cui oggi costruiamo la nostra moralità.

La scelta di ambientare tutto nel prestigioso microcosmo di Yale amplifica l'effetto: tra corridoi ovattati e cene borghesi, il film affonda il coltello nelle ipocrisie dei salotti buoni americani, dove tolleranza e inclusività convivono con ambizioni, giochi di ruolo e vendette silenziose. Anche il rapporto tra Alma e suo marito (Michael Stuhlbarg) alimenta l’ambiguità: due persone complici, lontane eppure unite da un legame antico, che osservano con crescente sospetto il comportamento della giovane allieva. Il risultato è un film che sfida lo spettatore, lo costringe a riflettere, a scegliere da che parte stare, pur sapendo che forse nessuna delle opzioni è pienamente giusta. Guadagnino non cerca facili consensi: vuole generare dibattito, anche al costo di creare inquietudine. In un panorama cinematografico sempre più attento a non “urtare” nessuno, After the Hunt osa essere scomodo. E proprio per questo, a Venezia, è stato accolto con attenzione ma anche con divisione.

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