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La storia

Una bambola contro la solitudine, così i bebè in silicone impazzano anche a Torino

L’artista Marymarilu svela i segreti di queste opere quasi umane. E' tra le protagoniste della docuserie Netflix

Reborn

L'artista Marymarilu

C’è Angela (i nomi sono di fantasia) che, dopo avere perso il suo bambino durante la gravidanza, non riesce ad accettare l’idea di non potere avere più figli e, così, accudisce con amore e dedizione il suo piccolo “Romeo”. E c’è Damiano, 70 anni, che, in seguito alla perdita della mamma, l’unica persona con cui abbia mai vissuto, si è fatto realizzare una reborn per chiamarla con lo stesso nome, “Cecilia”, e riversare su di essa tutto l’amore che il lutto lo aveva costretto a reprimere. E poi c’è Guido, single e introverso, che non lascia mai la sua baby “Maria” portandola ovunque anche col passeggino. In fondo, nessuno si è mai accorto a Torino che Maria, altro non è se non una bambola, esatto, proprio come Cecilia e Romeo. Sembrano storie al limite del surreale e, invece, si tratta di vicende sempre più comuni in Italia e nel mondo, specie dopo il Covid, da quando l’adozione di reborn (rinate), ossia le iperrealistiche bambole realizzate in vinile siliconato, praticamente identiche a un vero bebè, si è diffusa ancora di più. Nate negli Stati Uniti tra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta grazie alla creatività di alcuni artisti che hanno iniziato a modificare le bambole per renderle sempre più reali e umane - scandalizzando parte dell’opinione pubblica -, oggi, in alcuni Paesi, come il Brasile, sono diventate una mania da milioni di follower e, anche in Italia, iniziano a sorgere i primi influencer. E c’è di più: in questi mesi a Cinecittà si sta realizzando un docuserie Netflix dedicata alle reborn e all’universo delle “adozioni”, tra le cui protagoniste principali spicca Marymarilu, l’artista torinese creatrice e restauratrice di reborn, nonché organizzatrice del raduno che ogni anno si tiene sotto la Mole.

«Sì, sono impegnata proprio in questo periodo nelle riprese - ci racconta dal suo laboratorio di via Dottoressa Caviglietto dove da otto anni realizza le reborn - e ne sono molto felice perché finalmente gli italiani capiranno il vero significato che si cela dietro queste bambole speciali». Il cui prezzo varia tantissimo, da 250, 300 euro per quelle nuove, a molto meno per pezzi usati. Ma, i collezionisti internazionali sono arrivati a spendere diverse migliaia di dollari pur di possederle.

Vere «creature», dedicate anche alla Doll Therapy per riavvicinare «anziani e malati di Alzheimer a una sfera affettiva che non riescono più a percepire prendendosi cura di questi meravigliosi bebè». Per realizzare i quali, è bene ricordarlo, serve la mano di un artista che sappia come assemblare e dipingere le bambole prima che siano «adottate» dalla nuova famiglia. «E, anche una volta che lasciano il mio laboratorio - continua Marymarilu che il 22 novembre aspetta i torinesi presso la Soul Evolution Art Studio di via Galuppi, 25 a Torino per l’esposizione delle sue reborn - rimaniamo in contatto per visite di controllo o eventuali restauri».

Ma chi sono le persone che vogliono adottare una reborn? «Fondamentalmente si tratta di persone sole - continua l’artista - tanto che la maggior parte degli acquirenti si fa vivo sotto Natale… Per molti queste dolls rappresentano l’unico rapporto affettivo, le amano allo stesso modo di un cane o di un gatto di casa, c’è chi mi chiama piangendo se una reborn si rompe… e io, le riparo, proprio come farebbe un medico. C’è amore in tutto questo, anzi, io la chiamo poesia».

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