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I dati
29 Ottobre 2025 - 18:00
Il mare sta avanzando, e con esso cresce la preoccupazione per il futuro delle coste italiane.
Secondo il nuovo rapporto “Paesaggi sommersi” elaborato dalla Società Geografica Italiana, entro il 2050 circa il 20% delle spiagge del Paese rischia di finire sott’acqua. Se la tendenza non verrà invertita, entro il 2100 la perdita potrebbe toccare il 40%, con oltre 800 mila persone costrette a spostarsi dalle zone costiere.
La mappa redatta dagli studiosi individua le aree più esposte all’innalzamento del mare.
Le situazioni più critiche si registrano nell’Alto Adriatico e lungo la costa del Gargano, ma anche alcuni tratti tirrenici – tra Toscana e Campania – e porzioni della Sardegna, in particolare nelle province di Cagliari e Oristano, risultano altamente vulnerabili.
Il Delta del Po e la Laguna di Venezia rappresentano i punti più delicati: veri e propri ecosistemi “anfibi” dove anche pochi centimetri di aumento del livello del mare potrebbero compromettere equilibri ambientali millenari.
L’avanzata delle acque non minaccia solo il turismo balneare.
Il rapporto evidenzia che oltre la metà delle infrastrutture portuali italiane potrebbe subire danni gravi entro la fine del secolo.
Sul fronte agricolo, più del 10% dei terreni costieri rischia di diventare inutilizzabile a causa della salinizzazione del suolo: nel 2023, ad esempio, il cuneo salino nel Delta del Po si è spinto per oltre 20 chilometri nell’entroterra, danneggiando colture e riserve d’acqua dolce.
Le barriere artificiali costruite per difendere la costa stanno mostrando tutti i loro limiti.
Oggi proteggono circa un quarto dei litorali bassi, ma nel lungo periodo peggiorano l’erosione naturale e richiedono costi sempre più alti di manutenzione.
«È necessario un cambio di rotta – avverte Claudio Cerreti, presidente della Società Geografica Italiana –. Le nostre coste sono state eccessivamente artificializzate, impedendo agli ecosistemi di adattarsi. Solo processi di rinaturalizzazione possono offrire una soluzione duratura».
La pressione del turismo costiero rappresenta un ulteriore elemento di vulnerabilità.
Le località sul mare concentrano oltre il 57% dei posti letto turistici italiani, e in molti casi la crescita incontrollata delle strutture ha alterato gli equilibri ambientali.
Le aree marine protette, che coprono circa il 10% delle coste nazionali, spesso non dispongono di piani di gestione efficaci, riducendo la loro capacità di proteggere la biodiversità.
Nonostante l’allarme, gli esperti invitano a non cedere al fatalismo.
Cerreti sottolinea che una pianificazione consapevole e coordinata tra istituzioni, enti locali e cittadini può ancora ridurre gli impatti del cambiamento climatico:
«Non vogliamo diffondere catastrofismo – spiega – ma offrire ai decisori politici un quadro chiaro e strumenti per agire. L’Italia può ancora salvare gran parte delle sue coste, se interviene ora».
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