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22 Luglio 2021 - 07:38
Tortura, favoreggiamento, omessa denuncia. Sono i reati per cui il pm Francesco Pelosi, coordinato dall’aggiunto Enrica Gabetta, ha chiesto il rinvio a giudizio per 25 imputati - vertici e agenti di polizia penitenziaria - che lavorano o hanno operato nel carcere Lorusso e Cutugno. Gli imputati accusati di aver preso parte a una serie di torture e sevizie «in maniera continuata e costante», consistite in lesioni, umiliazioni e insulti sono 21, tutti agenti in servizio alle Vallette. Erano stati i loro colleghi del Nucleo investigativo della polizia penitenziaria, coordinati dalla procura, a raccogliere gli elementi di prova che documenterebbero abusi e azioni, lesive della dignità personale messe in atto per “punire” i carcerati dei padiglioni dove si trova chi ha commesso crimini sessuali. Anche i malati psichici sarebbero stati al centro di persecuzioni.
Oltre agli agenti, è imputato l’ex direttore del carcere, Domenico Minervini, che, secondo il pm Pelosi, avrebbe saputo delle torture ma avrebbe fatto finta di nulla: la procura gli contesta i reati di favoreggiamento e omessa denuncia. Anche il comandante della polizia penitenziaria, Giovanni Battista Alberotanza, è accusato di favoreggiamento per avere coperto le presunte torture. Sono indagati infine due sindacalisti dell’Osapp, che secondo la procura avrebbero rivelato all’ex comandante che sarebbe stato intercettato.
Le difese hanno ribadito, durante gli interrogatori, che non sarebbero mai stati commessi atti di violenza e che alcuni poliziotti non sarebbero nemmeno stati in servizio nei giorni e nei luoghi in cui, dal 2017, la procura contesta il compimento dei reati.
Ma gli inquirenti, dopo avere approfondito l’inchiesta, che era stata chiusa un anno fa, si sono convinti che invece il carcere fosse una sorta di inferno per alcuni detenuti: undici di loro sono parti offese, oltre alle associazioni Antigone e Lotta contro le malattie mentali.
L’inchiesta è nata dalla denuncia del garante dei detenuti. Sono tante le testimonianze di persone che, dopo avere visto le condizioni di vita dei carcerati, hanno deciso di farsi avanti. Un professore agli inquirenti disse: «Il blocco C è il girone infernale. Gli schiaffi allegri non sono finiti. Più di un detenuto italiano di mezza età e con alti livelli di istruzione mi riferiscono tra le lacrime che lì si perde la dignità». Intercettati, gli agenti prendevano in giro chi subiva umiliazioni. Raccontava un indagato: «Che poi quello che mi ricordo l’anno scorso, quando c’erano gli altri colleghi che sono stati trasferiti, sai a Zelig? Quando quello diceva: vatti a fare cinque minuti di vergogna, quando si metteva nell’angolo cinque minuti». Un altro poliziotto alla fidanzata diceva: «E niente, mo’ ce ne rientriamo, andiamo a dare i cambi che oggi mi sto divertendo?». Lei domandava a lui: «Ah si? A menà?». Lui rispondeva: «No... oggi stile Israele anni ‘40». Tra le vittime anche malati psichici. Un giovane detenuto in attesa di Tso era stato obbligato a percorrere, a piedi nudi, in mutande e con un bavaglio in bocca, un’intera sezione. Una scena che, scrivono gli inquirenti, lasciò le insegnanti che assistettero «molto turbate».
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