La procura ha chiesto l’archiviazione per il cinquantenne di Torino che era stato indagato, insieme ad un’altra decina di persone in tutta Italia, per avere pubblicato sui social insulti e minacce nei confronti del Capo dello Stato, in relazione alle misure anti Covid. La scorsa primavera, dopo un’indagine del Ros, era scattata una raffica di perquisizioni nelle case di undici negazionisti del Covid che sfogavano sul web la propria rabbia repressa, indirizzando frasi intimidatorie, anche molto pesanti, contro Sergio Mattarella.
Il Capo dello Stato ha sempre sostenuto la necessità di collaborare per eliminare il virus e nei giorni scorsi, anche in relazione alle violenze dei “no vax”, ha dichiarato: «Non si invochi la libertà per non vaccinarsi, si mette a rischio la salute altrui. La violenza va sanzionata». Tra i “no vax” indagati mesi fa c’era un “artista” di Torino, che era stato iscritto sul registro per offesa all'onore e al prestigio del presidente della Repubblica. Le sue frasi erano state rilanciate in post su Facebook dopo il mese di aprile 2020 e prima del febbraio 2021 e si riferivano al periodo del lockdown e delle scelte per il contenimento del Covid.
L’inchiesta, coordinata dalla pm Elisa Pazé e dall’aggiunto Emilio Gatti, capo del pool Antiterrorismo della procura, è stata chiusa dopo che l’indagato ha chiesto di farsi interrogare. Dopo aver chiesto scusa, il cinquantenne ha dichiarato, rivolto agli inquirenti, di «avere il massimo rispetto verso le forze dell’ordine e le istituzioni» e di essere pentito. L’uomo ha precisato di avere scritto quelle frasi senza volerlo, in una fase particolarmente delicata della sua vita e di crisi personale. Dopo l’interrogatorio la procura ha scelto di chiedere l’archiviazione al gip.
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Per rinviare a giudizio un indagato, dal punto di vista dell’accusa, occorre avere elementi forti per ottenere una condanna al processo. In assenza di elementi forti, spesso la scelta di chiedere l’archiviazione è quasi un atto dovuto. Nei mesi scorsi, il processo su un caso analogo - gli insulti dell’ex ministro dell’Interno, Matteo Salvini, verso la magistratura – si era concluso con un’assoluzione a favore del leader del Carroccio. Nelle motivazioni della sentenza il gup Roberto Ruscello aveva spiegato che sussisteva la “tenuità del fatto”. La procura aveva fatto appello.
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