Un caffè bollente nella cucina, a fianco dell’ufficio parrocchiale. Ma niente biscotti. «Meglio ne ne mangio pochi», scherza
don Alberto Calzoni. È pomeriggio, alle 16 ha riaperto la
chiesa di San Giacomo Apostolo di via Damiano, di di cui è parroco da dieci anni, dopo essere arrivato nel 2003 e aver fatto il vice.
Abdallah Bouguedra, il 21enne fermato per le violenze di Capodanno al
Duomo di Milano, vive proprio alla
Barca, dove lui è parroco.
«Mai visto, non lo conosco», afferma il prete dopo avere sbirciato una foto del ragazzo marocchino sul telefono. Mai visto, e non solo per una questione di religione. «Qui i musulmani venivano, in passato. Nell’oratorio c’era un maxi-schermo dove vedevano le partite della
Coppa d’Africa». Le casa dove Abdallah, detto Abdu, vive con la famiglia, è in
strada della Verna. Appartamenti popolari gestiti dal
Cit, il Consorzio intercomunale torinese. Don Alberto lì c’è stato. «Ma non ho visto dei grossi problemi, sono famiglie normalissime, come tante altre».
Il disagio, semmai, si crea altrove. Sui social, ad esempio. Quella zona franca per i genitori che sono le chat di
Instagram, TikTok, Telegram. Dove mamma e papà non sanno e non sapranno mai cosa combinano i loro figli.
Don Alberto parla proprio del “fuoco” dei social. «Un fuoco che si alimenta. Perché più fai certe scemenze e più prendi like. Da quel mondo i genitori sono tagliati fuori, per loro è una zona franca, ma è proprio lì che i giovani formano la banda che poi si raduna nella vita reale e commette i reati. E più sono, più si fanno forza tra loro».
Proprio come successo a
Capodanno a Milano, dove il branco numeroso se l’è presa con ragazze isolate o al massimo in coppia. Don Alberto tira le orecchie a mamme e papà: «Non conoscono più i loro figli. Qualcuno rinuncia ad educarli perché non vede subito i risultati. E allora pensa sia una perdita di tempo. Così li lasciano ai nonni». Ci sarebbero le chat dei genitori, magari, per parlare dei ragazzi. «Non servono a niente, solo a spettegolare», taglia corto il parroco. E allora, cosa si può fare per impedire che i giovanissimi finiscano nelle baby gang?
Don Alberto qualche tentativo l’aveva fatto: «Prima del
Covid avevo proposto alla scuola di fare degli incontri con i genitori, in tempo di
Quaresima. Ma il collegio docenti ha detto no. Forse - ammette - non volevano avere problemi con papà e mamme non cattolici. Un po’ come quando c’è stata la famosa polemica sul
Crocifisso in classe: dà fastidio? Bene, invece di affrontare il problema, togliamolo dalla parete e non se ne parla più».
A dire il vero, a intralciare le buone intenzioni ci si mettono pure le famiglie stesse, non solo la scuola. Il don fa un esempio: «Dopo la cresima chiamiamo mamme e papà per invitare i loro figli a fare estate ragazzi. Qualcuno ti sbatte la porta in faccia. Il problema, quindi, è che certi giovani è impossibile intercettarli e, se sbagliano, correggerli». I locali, la parrocchia li avrebbe pure, ma mancano gli animatori. Così le attività si fanno solo per i più piccoli. Ma il fatto che
Abdallah Bouguedra fosse proprio della
Barca, per il parroco è irrilevante.
Powered by
«Il quartiere non c’entra», dice. Anzi, una volta la borgata era peggio, a sentire le parole del sacerdote. «Un tempo se da
Barca andavi a
Bertolla rischiavi le botte, e viceversa. Oggi non è più così». Ma ci sono tanti altri disagi. Ad esempio i servizi che mancano. Due mesi fa c’è stato l’assalto dei banditi alle
Poste di via Damiano Chiesa. L’ufficio, l’unico nel borgo, non ha ancora riaperto. E
don Alberto bacchetta i politici: «Si ricordano di noi quando ci sono le elezioni, per prendere qualche voto in più. Per il resto il nostro quartiere è abbandonato».